Olimpia, 13 novembre 2021
di Gionatan De Marco, direttore Ufficio nazionale per la Pastorale del tempo libero, turismo e sport della CEI
Dal Vangelo secondo Matteo (Mt 25,14-30) “In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli questa parabola: «Avverrà come a un uomo che, partendo per un viaggio, chiamò i suoi servi e consegnò loro i suoi beni. A uno diede cinque talenti, a un altro due, a un altro uno, secondo le capacità di ciascuno; poi partì. Subito colui che aveva ricevuto cinque talenti andò a impiegarli, e ne guadagnò altri cinque. Così anche quello che ne aveva ricevuti due, ne guadagnò altri due. Colui invece che aveva ricevuto un solo talento, andò a fare una buca nel terreno e vi nascose il denaro del suo padrone. Dopo molto tempo il padrone di quei servi tornò e volle regolare i conti con loro. Si presentò colui che aveva ricevuto cinque talenti e ne portò altri cinque, dicendo: «Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati altri cinque». «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò poi colui che aveva ricevuto due talenti e disse: «Signore, mi hai consegnato due talenti; ecco, ne ho guadagnati altri due». «Bene, servo buono e fedele - gli disse il suo padrone -, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto; prendi parte alla gioia del tuo padrone». Si presentò infine anche colui che aveva ricevuto un solo talento e disse: «Signore, so che sei un uomo duro, che mieti dove non hai seminato e raccogli dove non hai sparso. Ho avuto paura e sono andato a nascondere il tuo talento sotto terra: ecco ciò che è tuo». Il padrone gli rispose: «Servo malvagio e pigro, tu sapevi che mieto dove non ho seminato e raccolgo dove non ho sparso; avresti dovuto affidare il mio denaro ai banchieri e così, ritornando, avrei ritirato il mio con l'interesse. Toglietegli dunque il talento, e datelo a chi ha i dieci talenti. Perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell'abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha. E il servo inutile gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”.
Mi sembra davvero segno di provvidenza questo brano evangelico che Qualcuno ha posto come stele di alleanza al termine del nostro cammino di questi giorni, senza che lo avessimo programmato. Abbiamo percorso insieme un pezzo di cammino fatto di ascolto e di dialogo, di armonizzazioni di visioni e di negoziazione di significati. Un cammino che ci ha fatto gustare la bellezza del remare insieme sulla barca del mondo dello sport nel mare della cultura contemporanea. In questi giorni ci siamo sentiti un po’ tutti meno soli, sorpresi di quanti compagni di avventura già da tempo ci stavano accanto senza che ce ne fossimo mai accorti. Ora, però, lo sappiamo… e abbiamo l’opportunità di salire tutti insieme sulla stessa barca per prendere il largo e vivere la compagnia delle fatiche quotidiane, ma col sentire accanto un palpitio amico pronto a darci una mano, a vivere la bellezza della reciprocità dell’impegno che porta tutti a navigare meglio, non più a vista, ma con una mappa segnata insieme verso quell’isola del tesoro dove l’amicizia prevale sugli interessi di etichetta, dove la simpatia scardina le diffidenze di cui ci hanno armati, dove il bene comune da costruire si fa possibilità per tutti di dare il meglio di sé!
Polis: “consegnò loro i suoi beni” È la responsabilità il leitmotiv con cui tentare di comporre un’inedita marcia su cui permettere allo sport di tracciare i suoi passi verso un futuro che non parli più di spettacolo ma di miracolo! Sì, perché non si tratta più di spectare, di guardare! Ma si tratta di iniziare finalmente a mirari, ammirare, meravigliarsi! Perché lo sport è possibile per la regola non scontata di stare al mondo, con un nome e in movimento! Innanzitutto, con il nome! Perché lo sport del futuro deve partire da qui, dal punto fermo che tutti gli attori hanno il nome proprio! Un nome che dice unicità e irripetibilità. Un nome che dice dignità e rispetto. Un nome che dice neuroni e sangue in movimento… che per continuare a muoversi devono non star fermi! È il movimento di chi cresce, di chi fa del cambiamento e dello sviluppo un compito per non subire il mondo, ma per viverlo… e con responsabilità renderlo differente! Un impegno che nasce scoprendo di avere mani piene! Da sempre ciascuno si trova tra le mani il bene da custodire! Non sono i beni che rendono sazi da morire, ma si tratta del bene che dà senso a ciò che si è e ciò che si fa! Si dice che non basta fare il bene, bisogna anche farlo bene! È la regola fondamentale dello stare al mondo con la responsabilità che c’è sempre qualcosa di nuovo da costruire, c’è sempre un motivo per attivare la creatività e tracciare inedite traiettorie della vita propria e di quella sociale… anche scegliendo lo sport come il proprio migliore linguaggio per non cadere nei dimenticatoi della storia, ma per salire sul proprio sicomoro e scoprire che c’è un’occasione che ti passa accanto, è il treno su cui salire per viaggiare verso il proprio modo di stare al mondo da protagonista. Perché lo sport, come l’arte, la musica, la tecnologia, è una meravigliosa opportunità! Attraverso lo sport si può avere la possibilità di scoprire la propria grandezza, sinonimo non di arroganza ma di preziosità. Attraverso lo sport si ha l’opportunità di trovare un luogo dove esprimersi in tutta la propria libertà, sinonimo non di incerta sicurezza ma di certa e inquieta domanda. Attraverso lo sport si ha la possibilità di scandire un tempo in cui la vita si rende disponibile per essere mostrata in tutta la sua bellezza. Attraverso lo sport si ha l’occasione di lasciar cadere briciole di impegno vitale che nutrono la terra di energia e di futuro. E chi le raccoglie si sente coinvolto in un’economia circolare dell’impegno responsabile e sostenibile dove il bene prende forma in gesti che stupiscono. Perché l’atleta, cittadino allenato del suo tempo e per il suo mondo, è chiamato così a misurarsi in quella gara in cui vince non chi si risparmia, ma chi si spende! E la pista o il campo non diventano il palcoscenico su cui produrre uno spettacolo, ma si scopre essere il terreno su cui seminare le proprie fatiche e le proprie imprese, le proprie sconfitte e le proprie vittorie perché solo che semina raccoglie… e nella semina non si trattiene, ma si sparge senza misura. È la responsabilità più bella di chi vive e vivrà lo sport come il proprio modo di costruire città future, disegnate sulle cartine della solidarietà, dove i quartieri si compongono di accessibilità e inclusività e le strade vengono spianate sulla rete dell’amicizia sociale. È questo l’humus essenziale e determinante da cui lo sport e gli sportivi possono attingere il nutrimento per un’educazione credente e credibile! Credente perché è colorata di fiducia, credibile perché la trama delle parole si annoda con l’ordito della testimonianza autentica, creativa e gioiosa!
Paideia: “perché a chiunque ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, verrà tolto anche quello che ha”, “secondo le capacità di ciascuno”
Perché la paideia dobbiamo smetterla di pensarla come azione di chi viene prima e deve insegnare a vivere, perché la paideia è un bisogno urlato da chi viene dopo che chiede di vedere modelli su cui tagliare e cucire il proprio domani per diventare grande! Sì, non pensiamola più come sforzo degli adulti di canticchiare “mi fido di te”, ma come la libera danza di chi alla vita si apre cantando a squarciagola “fidati di me”! Non pensiamo più la paideia come un sedere sulla cattedra e dettare gli esercizi per insegnare a scrivere e a fare calcoli, perché paideia è la fatica di chi viene ora al mondo e ci tira fuori dagli schemi ingessati in cui ci troviamo a casa e ci invita ad esplorare nuove strade e nuovi mondi dove collaborare per fare della fatica un esercizio condiviso di progettazione del domani! E scopriremo che solo insieme ci si educa allo sprint del dire e vivere la gratitudine, consapevoli che ogni attimo è un sempre nuovo fischio di inizio che ci ridà la possibilità di darci una mano a disegnare uno schema di gioco in cui tra il caos della mischia si scopre il filo d’oro che porta dritto a fare l’assist perché chi ci viene dietro possa dare il colpo di testa vincente! E mi piace mostrarvi questo volto della paideia con la voce di chi lo ha inciso in una canzone:
Ascolto di: NIENTE È IMPOSSIBILE di Chiara Grispo
Prestami il passato
Ho vissuto ancora poco
La tua esperienza infatti non ce l’ho.
Arrivo un po’ per caso In un mondo dorato
A cui non ho voluto dire no.
La mia generazione Ha fame di occasioni
Che questo tempo non gli da
Muove le sue ali
Cercando i suoi ideali
E la sua libertà
Se una risposta non c’è
Non voglio abbandonare la vita nelle mani del destino
Io devo fidarmi di me
Se rido a nuovi giorni da inventare
E se non smetto di sognare
Niente è impossibile
Niente è impossibile
Mostrami un futuro
Che non sia solo fumo
Qualcosa in cui mi posso riconoscere.
Dammi un’emozione
E scriverò il tuo nome
Se mi salvi dalla solitudine.
La mia generazione Paga l’illusione
Che maschera questa realtà
Muove le sue ali
Cercando i suoi ideali
E la sua verità
Se una risposta non c’è
Non voglio abbandonare la vita nelle mani di nessuno
Io devo fidarmi di me
Inseguo nuovi spazi da esplorare
E non smetto di sognare
Eeeeeeh Oooooooh
Io voglio fidarmi di me
Sorrido a nuovi giorni da inventare
E se non smetto di sognare,
Niente è impossibile, eeeeh
Niente è impossibile
Niente è impossibile.
Ethos: “Subito […] andò a impiegarli, e ne guadagnò altri” È dalla consapevolezza che tutto può farsi possibile che sgorga l’ethos perché lo sport possa ancora ipotecarsi un frammento di domani. Senza ethos lo sport rovinerà inesorabilmente nel buco nero dell’insignificanza e dell’insensata spettacolarizzazione. Senza ethos lo sport potrà farsi gabbia piuttosto che dare ali; interrare il talento, più che impiegarlo per tentare di moltiplicare le occasioni di scendere in pista o in campo per poter dare il meglio di sé. Ma l’ethos è come un albero che può vivere grazie alla radice di scoprirsi identità aperta! Siamo incontro! Non si vive senza misurarsi con l’altro che ci sta difronte, perché è l’altro che ci fa esistere e che tira fuori da ciascuno il meglio e il peggio, a seconda che sentiamo fiducia o paura. Siamo confronto! Ed è il confronto che ci accompagna davanti ad uno specchio e che ci permette di misurare potenzialità e limiti, risorse e criticità. Siamo dialogo! Movimento continuo di reciproci avvicinamenti dove si impara insieme un passo neutrale, perché né mio né tuo, con cui correre gli uni accanto agli altri verso l’orizzonte di riuscire a diventare protagonisti di una storia sportiva dove vince l’esserci indipendentemente dai perché! Indipendentemente dalle motivazioni che spingono una persona a mettersi in gioco in un qualche sport, è importante costruire loci, luoghi dove creare spazi in cui far esplodere i sogni gestati a lungo in tentativi spesso fatti di notte, in solitudine, senza il sostegno della società. È fondamentale progettare luoghi dove ogni persona abbia la possibilità di far esplodere i sogni e sfamare i bi-sogni, luoghi in cui la personalizzazione si fa pratica di un processo etico dove il possibile si fa orizzonte ed è sostenuto da una rete educativa in cui al centro non c’è la sopravvivenza dell’agenzia che educa ma in cui al centro c’è la felicità di chi ha il diritto a crescere a passo d’uomo per poter dare il meglio di sé, il massimo di ciò che gli è possibile. Solo se ci saranno loci, ci sarà ethos! Solo se ci saranno loci, ci sarà ethos che avrà nelle virtù la voce e negli atteggiamenti il gusto. “Forse oggi più che mai dobbiamo fissare lo sguardo sui giovani – scrive Papa Francesco presentando il documento Dare il meglio di sé – dal momento che, quanto prima si inizia il processo di formazione, tanto più facile risulterà lo sviluppo integrale della persona attraverso lo sport. […] Sappiamo come le nuove generazioni guardano e si ispirano agli sportivi! – esclama il Papa, secondo il quale – è necessaria la partecipazione di tutti gli sportivi, di qualsiasi età e livello, perché quanti fanno parte del mondo dello sport siano un esempio di virtù come la generosità, l’umiltà, il sacrificio, la costanza e l’allegria. Allo stesso modo, - sostiene papa Francesco - gli sportivi dovrebbero dare il loro contributo per ciò che riguarda lo spirito di gruppo, il rispetto, un sano agonismo e la solidarietà con gli altri. È essenziale che tutti siamo consapevoli dell’importanza che ha l’esempio nella pratica sportiva, poiché è un buon aratro in terra fertile che favorisce il raccolto, sempre che si coltivi e si lavori adeguatamente”. Ecco perché è urgente impegnarsi affinché lo sport abbia la voce e il gusto delle virtù. È urgente spendersi affinché si attivino quanti più luoghi possibili dove allenare la vita, prima dei muscoli, all’impresa del provarci e del riuscirci. È urgente esserci perché è l’impegno che compromette tutti ad offrire nuove strade su cui far correre gli uomini e le donne di oggi, portando le persone dalle periferie (geografiche, economiche, esistenziali…) al centro di un’attenzione plurale che costruisce relazioni prima degli impianti, progetti integrati prima del calendario di gara.
Epos: “Si presentò […] dicendo” E permetteremo allo sport e a chi lo vive di aprire pagine di un’epica nuova, di una nuova narrazione sudata che si fa coinvolgente perché autentica, affascinante perché possibile. È tempo, infatti, di raccontare un volto nuovo dello sport. Non nuovo perché cambiamo gli sport, ma nuovo perché ridiamo la possibilità allo sport di farsi messaggio, liberandolo dalle grinfie dal gossip ossessivo e ossessionante. E perché ciò accada è necessario definire insieme in modo creativo la visione, lo stile, la pratica, la missione e il risultato.
La convivialità come visione. Il mondo sportivo – se mettiamo da parte lo sguardo interessato – sembra in crisi e nessuna azione collettiva rivolta a porvi rimedio può riuscire se tutti coloro che vi si impegnano non sono animati da un insieme di valori comuni chiaramente condivisi. Le politiche sportive che abbiamo ereditato e che hanno fino ad oggi orientato il mondo dello sport italiano non sono più guide oggi sufficienti. Dunque, dobbiamo innovare. La convivialità, filosofia politica della vita in comune (della con-vivenza), dell’arte di cooperare contrapponendosi senza uccidersi a vicenda, mi sembra una visione straordinaria che esplicita i valori ultimi che animano tutti coloro che, pur provenendo da ideologie molto diverse, non si rassegnano ad abbandonare lo sport, e quindi la sua promozione, né ai cantori del marketing sportivo, né ai profeti di un’esaltazione smodata dello sport spettacolo (tendenze che vanno talvolta o, meglio, spesso insieme). I primi aprono all’estensione planetaria di un capitalismo usuraio e speculativo, aspirano all’onnipotenza economica, a un incremento illimitato di ricchezza e saccheggiano lo sport. I secondi mobilitano il desiderio di onnipotenza e dettano classifiche di esclusione. Oggi è urgente trovarsi d’accordo su cinque princìpi: – Il principio di comune naturalità afferma che noi non siamo «signori e possessori della natura dello sport». – Il principio di comune umanità promuove l’inclusione universale alla pratica e alla politica sportiva, senza alcuna discriminazioni. – Il principio di comune socialità afferma che la vera ricchezza del movimento sportivo è anzitutto quella dei rapporti sociali che qui nascono e si rafforzano. – Il principio di legittima individuazione presuppone che la motivazione primaria delle persone che scelgono lo sport come linguaggio per essere riconosciuti come unici e preziosi, indipendentemente dal diventare campioni. – Il principio di opposizione creatrice è quello da cui far scaturire l’impegno per liberare lo sport dal dispotismo economico per attivare politiche e pratiche creative di sport capace di correre verso il futuro. Lo sport del futuro deve avere questi principi di convivialità come fondamento, nel rispetto basilare dell’imperativo categorico della lotta contro la hubris sportiva, contro qualsiasi forma di narcisismo e delirio di onnipotenza nell’universo sportivo contemporaneo.
La cooperazione come stile. “Ogni cambiamento – afferma papa Francesco – ha bisogno di un cambiamento educativo che coinvolga tutti. Un proverbio africano dice che per educare un bambino serve un intero villaggio. Ma dobbiamo costruirlo, questo villaggio, come condizione per educare”. È urgente allora rifondare lo sport del futuro su di un vero e proprio Patto Educativo, che si configuri come un’alleanza educativa tra i responsabili dei diversi protagonisti del mondo sportivo italiano (istituzioni, federazioni, enti di promozione, associazioni, singole persone), pur nella diversità dei ruoli e delle visioni identitarie. E, questo, iniziando ad acquisire la capacità di mettere in rete bisogni e desideri. Occorre che le varie stratificazione del tessuto sportivo attuale si contaminino! Che, insieme, si progetti e realizzi un progetto nuovo che non sostituisca quelli di ciascuno, ma che ne garantisca la qualità e la profezia. Questo significa che le nostre diverse realtà hanno la possibilità di impegnarsi, per qualsiasi proposta/progetto operativo, a partecipare insieme con corresponsabilità, a condividere obiettivi, a coinvolgere i propri destinatari negli obiettivi, operando così concretamente e in maniera testimoniale affinché lo sport recuperi appieno la sua dimensione educativa, di apprendimento e di inclusione. Il Patto che dovremmo tessere è inteso come orizzonte di senso nel quale inserire il cammino educativo nell’attuale crisi ecologica e sociale, che può costituire una grande opportunità per riscoprirci insieme comunità sportiva educante. E cinque sono i pilastri: chiarezza, convergenza, compito, coraggio e coinvolgimento. Questo significa che occorre lavorare per attivare processi virtuosi di collaborazione; in particolare progettando e realizzando insieme percorsi formativi perché in ogni spazio sportivo educativo siano presenti figure competenti e preparate, capaci di elaborare proposte concrete di interventi possibili per un patto educativo nei territori.
La mediazione come pratica. Perché questo accada è necessario avviare processi di mediazione per iniziare a ridisegnare il noi sportivo nel nostro Paese, per rielaborare le conflittualità che ci dividono e rinchiudono dietro le nostre mura di difesa, per attivare una negoziazione di ruoli e di compiti per includere tutti all’interno del Manifesto-Azione che iniziamo a scrivere a tante mani, insieme. E se iniziassimo a far questo con un gesto concreto? Forse, per incominciare a costruire insieme qualcosa di nuovo, ogni realtà presente a questo Simposio potrebbe iniziare con l’individuazione e l’istituzionalizzare all’interno della propria realtà nazionale di una figura con l’attitudine al dialogo e alla collaborazione per sperimentare la formazione di un primo gruppo sperimentale di quelli che chiameremo mediatori sportivi. Una nuova figura il cui compito dovrà essere proprio quello di contaminare la propria realtà con la storia, lo stile, il proprium degli altri, promuovendo un vasto movimento di persone dalle etichette diverse ma attente all’educazione… dei ragazzi, dei giovani e delle famiglie, soprattutto: un mediatore sportivo che invita ad incontrarsi, a mettersi attorno ad un tavolo, a sottoposi reciprocamente a rinunce e sacrifici per il bene comune.
La solidarietà come missione. Non dimentichiamo mai – e almeno noi lo dovremmo sapere – che lo sport ha il potere di cambiare il mondo. È un diritto fondamentale, un potente strumento per rafforzare i legami sociali e promuovere lo sviluppo sostenibile, la pace, nonché la solidarietà e il rispetto. Lo sport è solidarietà, è risposta efficace contro la sfiducia, il rischio di esclusione e di disagio sociale. Se impostato correttamente, lo sport aumenta l’autostima e la fiducia in se stessi, sviluppa lo spirito di squadra e di collaborazione e aiuta a ragionare per obiettivi, motivando i ragazzi a raggiungerli e educandoli a affrontare la vita. La missione solidale dello sport è creare profondi legami di amicizia, di relazioni buone che trasformano l’animo e aiutano ad uscire da se stessi per far crescere la propria identità. Lo sport non deve solo essere inclusivo ma anche esplosivo facendo esplodere i talenti umani che sono presenti dentro di sé. E qui, vi consegniamo un sogno. Fare delle periferie (quelle di ogni tipo) degli avamposti sportivi, dei luoghi dove insieme siamo in prima linea per permettere agli affamati di riconoscimento e di possibilità di aprire orizzonti inediti dove potersi sentire riconosciuti, valorizzati e accompagnati a diventare sportivi e – perché no – campioni!
La felicità come risultato. Non altro! L’unico risultato da perseguire è la felicità, quella felicità che può essere descritta in modo straordinario con queste parole: “Puoi avere difetti, essere ansioso e perfino essere arrabbiato, ma non dimenticare che la tua vita è la più grande impresa del mondo. Solo tu puoi impedirne il fallimento. Molti ti apprezzano, ti ammirano e ti amano. Ricorda che essere felici non è avere un cielo senza tempesta, una strada senza incidenti, un lavoro senza fatica, relazioni senza delusioni. Essere felici significa trovare la forza del perdono, la speranza nelle battaglie, la sicurezza nella fase della paura, l’amore nella discordia. Non è solo godersi il sorriso, ma anche riflettere sulla tristezza. Non è solo celebrare i successi, ma imparare dai fallimenti. Non è solo sentirsi felici con gli applausi, ma essere felici nell’anonimato. Essere felici non è una fatalità del destino, ma un risultato per coloro che possono viaggiare dentro se stessi. Essere felici è smettere di sentirsi una vittima e diventare autore del proprio destino. È attraversare i deserti, ma essere in grado di trovare un’oasi nel profondo dell’anima. È ringraziare Dio ogni mattina per il miracolo della vita. Essere felici è non avere paura dei propri sentimenti ed essere in grado di parlare di te. Sta nel coraggio di sentire un “no” e ritrovare la fiducia nei confronti delle critiche, anche quando sono ingiustificate. È baciare i tuoi figli, coccolare i tuoi genitori, vivere momenti poetici con gli amici, anche quando ci feriscono. Essere felici è lasciare vivere la creatura che vive in ognuno di noi, libera, gioiosa e semplice. È avere la maturità per poter dire: “Ho fatto degli errori”. È avere il coraggio di dire: “Mi dispiace”. È avere la sensibilità di dire: “Ho bisogno di te”. È avere la capacità di dire: “Ti amo”. Possa la tua vita diventa un giardino di felicità per la primavera. E quando commetti un errore, ricomincia da capo. Perché solo allora sarai innamorato della vita. Scoprirai che essere felice non è avere una vita perfetta. Ma usa le lacrime per irrigare la tolleranza. Usa le tue sconfitte per addestrare la pazienza. Usa i tuoi errori con la serenità dello scultore. Usa il dolore per intonare il piacere. Usa gli ostacoli per aprire le finestre dell’intelligenza. Non mollare mai … Soprattutto non mollare mai le persone che ti amano. Non rinunciare mai alla felicità, perché la vita è uno spettacolo incredibile.”
Di questa felicità, lo sport potrebbe farsi scuola… solo se lo vogliamo!