Lo sport come strumento di rinascita e riflessione.
Questo il cuore della manifestazione, organizzata dalla Fondazione Giovanni Paolo II per lo sport, dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria (DAP) e dalla rete di magistrati “Sport e Legalità”, in occasione del Giubileo degli sportivi.
A Rebibbia vince la speranza: al termine di una giornata intensa, ricca di pathos, agonismo e riflessione, si è conclusa nei giorni scorsi la prima edizione de “I Giochi della Speranza”.
Emozioni, incontri, sguardi che si incrociano dietro una rete, barriere che si abbassano, questa piccola olimpiade nella Casa Circondariale Rebibbia N.C. “Raffaele Cinotti” ha voluto portare lo sport, veicolo potente di rieducazione e speranza, oltre il suo perimetro competitivo, facendone strumento di riscatto, dignità e rinascita. E il risultato è stato straordinario.
La giornata ha avuto inizio di prima mattina, alle 8, con la cerimonia di apertura e i saluti istituzionali. Poi si è entrati subito nel vivo delle competizioni che, fra aree interne e zone esterne all’istituto, sono andate avanti fino alle 13, nonostante il sole e il caldo cocente.
Quattro le rappresentative in competizione – detenuti, poliziotti penitenziari, magistrati ed esponenti della società civile – che si sono confrontate in varie discipline sportive: dal calcio a 5 alla pallavolo, dall’atletica leggera al tennis tavolo, ma anche calcio-balilla e scacchi. Alla fine, la classifica a punti ha premiato la squadra della Polizia penitenziaria; secondo gradino del podio per la squadra dei magistrati, terzo posto per la rappresentativa dei detenuti e infine la squadra della società civile.
Al termine la cerimonia di premiazione per tutte le squadre e tutti gli atleti che hanno partecipato alle competizioni.
Daniele Pasquini, presidente della Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport: “Come tutte le idee folli, quella dei Giochi della Speranza è nata in condivisione con la rete di magistrati Sport & Legalità e il DAP durante le Olimpiadi di Parigi, dove presentammo il libro “Padre Henri Didon – Un dominicano alle origini dell’olimpismo”. È a lui che dobbiamo il motto olimpico “Citius Altius Fortius”. Abbiamo pensato di portare i valori olimpici là dove si fa più fatica a entrare, in carcere. La spinta definitiva è arrivata con l’apertura della Porta Santa da Papa Francesco lo scorso 26 dicembre, proprio qui a Rebibbia”.
Giovanni Malagò, presidente del CONI: “Iniziativa strepitosa ed è stato importante esserci, toccare con mano, guardare con i propri occhi, al di là di qualsiasi aspettativa. Mi è piaciuta molto l’idea di questo torneo multidisciplinare, sembra un’idea provocatoria ma è eccellente. Qui in carcere c’è grande rispetto per gli arbitri e per le regole, perché lo sport è tante cose. Il CIO è sempre stato vicino agli emarginati, agli emigrati, ai carcerati, a chi ha avuto meno fortuna.”.
Beniamino Quintieri, presidente del Credito Sportivo: “Credo che portare lo sport tra coloro che hanno perso la libertà sia uno dei modi migliori per attuare le politiche di rieducazione del detenuto, amicizia, solidarietà, rispetto delle regole, tutti i valori che lo sport incarna.”.
Nel suo intervento di saluto il presidente della rete di magistrati “Sport e Legalità”, il procuratore generale di Perugia Sergio Sottani, ha sottolineato come “il valore dell’attività sportiva all’interno del carcere come momento di educazione alla socialità”. E ancora: «Il rispetto delle regole sportive è uno dei modi in cui si manifesta la funzione rieducativa della pena».
Un pensiero a cui si è associato anche il fondatore della rete magistrati “Sport e Legalità”, Fabrizio Basei, gip del tribunale di Velletri: «I Giochi della Speranza rappresentano un momento di incontro tra le istituzioni, il mondo carcerario e la società civile e l’inizio di un percorso da fare insieme. Il comune obiettivo deve essere quello di creare un modello da attuare in tutti gli istituti penitenziari d’Italia affinché, attraverso lo sport e i valori olimpici, si possano trasmettere anche nelle carceri, luoghi troppo spesso dimenticati e distanti dalla società, i principi di legalità e della nostra Costituzione».
In chiusura l’intervento del nuovo capo del DAP Stefano Carmine De Michele: «Lo sport livella ed è l’insegnamento migliore che si può trarre da questa iniziativa. Giocare insieme è motivo di integrazione».
Un momento di condivisione e integrazione che ha confermato il valore inclusivo dello sport con le quattro selezioni che si sono incontrate su un campo comune: quello del rispetto reciproco e della voglia di cambiare.
Toccanti le parole di Manuel, in rappresentanza dei detenuti di Rebibbia: «Voglio ringraziare a nome di tutti i miei compagni le istituzioni, la Fondazione Giovanni Paolo II per lo Sport, il Dap e la direzione del carcere, che ci hanno consentito di vivere questa giornata all’insegna dello sport. Per noi è stato importante interagire, svagarci e vivere qualcosa di diverso. Un ringraziamento e un saluto particolare a tutti i miei compagni detenuti».
L’apertura della Porta Santa proprio a Rebibbia da parte di Papa Francesco il 26 dicembre scorso ha dato «una spinta all’iniziativa». Ora si pensa a dicembre, a quando si celebrerà il Giubileo delle carceri. «L’intenzione – sono ancora le parole di Daniele Pasquini -, è quella di replicare nella sezione femminile e poi di esportare la manifestazione in altre carceri italiane».
L’obiettivo è chiaro: creare un modello replicabile in altri istituti di pena italiani, per permettere anche alle persone recluse di vivere momenti di armonia e serenità, valorizzando sempre più lo sport come strumento di crescita personale e reinserimento sociale