E’ il 17 marzo 2017. Shiva Amini, centrocampista della Seria A iraniana da 12 anni e della Nazionale di calcio a 5, è in vacanza in Svizzera. A Zurigo gioca una partitella fra amici (maschi) senza indossare il velo e in pantaloncini corti. Le sue foto, via social, arrivano in Iran. Dove per le donne il copricapo è obbligatorio ed è impensabile mostrare le gambe. I quotidiani scrivono articoli scandalizzati. I telegiornali la bollano. Alla sera il suo cellulare è pieno di messaggi. La Federazione iraniana la squalifica da tutte le competizioni e dalla Nazionale. Un avvocato svizzero l’avverte: se torni in Iran ti aspetta il carcere. Il caso di Shiva diventa politico. Passa quasi 2 mesi in Ospedale dove viene ricoverata per le conseguenze dello shock, viene quindi accolta da una famiglia a Zurigo e nel corso dell’anno trascorso lì si converte al Cristianesimo e diventa cattolica.
Però non può fermarsi in Svizzera perché ormai l’unica strada percorribile è quella dell’asilo politico e secondo il patto di Dublino Shiva deve chiederlo in Italia. Arriva a Genova. È un momento durissimo, un giorno si mette in fila assieme a centinaia di stranieri davanti alla Questura. Non conosce nessuno, e nessuno parla inglese. Piange. "Se mi date solo 5 minuti di tempo — dice infine a un’agente donna — vi spiego la mia storia". La poliziotta capisce e le trova assistenza. Dopo 2 mesi passati in un campo profughi, la Diocesi di Chiavari tramite la Caritas si offre di accoglierla. Per un breve periodo abita dalle suore, a Leivi. Poi il Villaggio del Ragazzo, istituto che gestisce servizi di assistenza, la prende in carico e la sostiene.
Nei primi giorni dopo l’arrivo a Chiavari conosce Francesca Sadowski, medico specialista in Medicina dello sport, che l’accoglie come una figlia nella sua famiglia e che le fa conoscere tanti amici, molti dei quali giovani come lei, che vivono il mondo dello sport e l’amicizia nella Compagnia delle Opere Sport e Gianluca, preparatore atletico che l’aiuta a rimettersi in forma fisicamente e diventa uno dei suoi più cari amici.
"Del mio passato, per favore, vorrei parlare poco. Ho versato tante lacrime e ancora ci sto male, sono stati anni d’inferno. Da quattro anni non vedo la mia famiglia. Rischiavo e rischio ancora il carcere. Penso che mai potrò rientrarci. Ma da quando sono in Italia sto vivendo qualcosa di così bello che mi sembrava inimmaginabile. E non voglio certamente fermarmi."
Shiva dal 2019 è rifugiata politica e vive e lavora a Chiavari per l’Academy dell’Entella, società satellite di quella di Serie B. Allena i ragazzini nati nel 2008 e nel 2012: "Ho anche fatto il corso per arbitrare. Ma ho capito subito che non era la mia strada. Soffrivo troppo a vedere gli altri giocare" spiega sorridendo. Ed ha capito immediatamente che quel tesseramento propostogli dal Genoa Women non sarebbe mai andato in porto: "La federazione iraniana non mi avrebbe mai concesso il transfer per poter giocare qui in Italia. Quindi ho intrapreso un’altra strada, sempre in questo mondo. Il più bello".
In Iran si era laureata in Scienze Motorie, ma dal suo paese è impossibile avere i diplomi. E allora va dietro al suo desiderio fino in fondo e, aiutata da alcuni amici tra cui Luca Rossettini, difensore del Padova con trascorsi tra Bologna, Cagliari e Torino nella massima serie, riesce nel proprio intento: grazie all’Associazione Italiana Calciatori e all’Università telematica San Raffaele di Roma si è iscritta alla facoltà di Scienze Motorie indirizzo Calcio. "Mi sentivo inadeguata, nonostante avessi già preso il tesserino Uefa C per poter allenare. Ma per lavorare con i più piccoli serve sempre qualcosa in più. Sono grata per l’occasione che mi è stata data. Non smetterò mai di ringraziare. È una sensazione meravigliosa".
Shiva è consapevole che la sua vita così dura ha però preso una svolta buona ed è grata a Dio che non l’ha abbandonata e le ha messo a fianco tante persone che le vogliono bene e con cui condivide la vita.
Contributo raccolto da Mauro Rufini – Compagnia delle Opere Sport