di Gionatan De Marco, direttore UNTS della CEI
Il turismo conviviale che si fonda sull’esperienza di un trittico della Bellezza che interpella e accompagna ad una scelta conviviale di nuova evangelizzazione e nuovo umanesimo ha come elemento fondamentale il fattore “stupore”. E questo perché la Comunità ospitante, che custodisce la grande eredità culturale che porta il profumo di quella Buona Notizia che è il Vangelo, sente l’urgenza culturale e pastorale di ritornare all’essenzialità dell’esperienza, a quel fattore che come scintilla fa partire l’incendio della vita che si riempie di senso e di felicità: lo stupore. Infatti, quella Bellezza – attraverso il trittico che abbiamo già descritto – scaturisce dal fatto che «il Vangelo è un messaggio controcorrente, che capovolge la visuale normale e il corso normale delle cose e richiede un cambiamento radicale di mentalità e un radicale cambio di rotta! Esso non è il risultato di un calcolo umano, di una pianificazione e di un’azione umana, non è il risultato di un calcolo umano, non è il risultato di sviluppi naturali e di progressi storici, ma è promessa che Dio agirà potentemente nella storia al di là di tutto quello che possiamo immaginare in questo mondo»[1]. E la trasfigurazione della persona e del mondo non può attivarsi se non a partire dal caldo, effervescente e creativo fattore “stupore”. Ed è sempre stato così… anche nel Vangelo. E presento due esempli che potrebbero diventare le icone di riferimento del turismo conviviale in cui la persona del terzo millennio incontra un messaggio fatto di Bellezza che da stupito consapevole diventa felice e speranzoso.
La prima icona è quella dei tre grandi curiosoni, che hanno imparato sulla loro pelle la grande lezione della Bellezza, in un’esperienza avvenuta in quel tempo, tra le dune dorate e abbrustolite del deserto. Sembrano tre lumache a sentire il racconto della loro esperienza[2], ma tre lumache curiose. Amano camminare lenti, forse per assaporare il luoghi attraversati dalla loro carovana senza una destinazione annunciata. Amano camminare lenti, sicuramente per non perdere con il vento della velocità quello stupore che li ha spinti a mettersi in cammino e che sta accompagnando quel viaggio. Uno stupore diventato presto curiosità: scoprire il senso di quel punto luminoso che – apparso senza preavviso nel cielo – indicava una meta!
Davvero curiose queste tre lumache che vanno dietro a quel punto di luce cogliendone tutto il suo valore[3] estetico: che emozione fissare quel punto che fa brillare gli occhi! Ma di quel punto di luce ne colgono anche il valore artistico: che realizzazione perfetta, sembra che una mano la disegni centimetro dopo centimetro nel suo spostarsi nel cielo! E di quel punto di luce ne colgono tutto il valore spirituale: qualcosa gli arde dentro mentre dialogano con quella stella, che sembra capirli, che sembra accompagnarli, che sembra custodirli! Di quel punto di luce, poi ne colgono il valore educativo: lo devono ammettere, qualcosa dentro di loro sta cambiando. Abituati a camminare con il naso in giù, quella stella li sta allenando a camminare con il naso in su, con lo sguardo puntato vero l’oltre della normalità. Di quel punto di luce, infine, hanno colto tutto il valore economico, non per acquistarlo ma per raggiungerlo, non per divorarlo ma per gustarne la dolcezza! Ma questo richiede il prezzo del cammino, la fatica di vivere un’esperienza che ha come obiettivo la conoscenza e la trasfigurazione! Sempre spinti da quel punto di luce che non smette di brillare nel cielo, quasi a ricamare sulla sua traiettoria un messaggio inaudito per le tre lumache curiose: la Bellezza salverà l’umanità!
Ed eccola lì, ferma, su una catapecchia. Si saranno avvicinati con timore, e avranno spinto in dentro la porta scricchiolante con trepidazione, fino a scoprire che il percorso ha uno zenit, un punto fermo di incontro con il Tu della bellezza! E da quel momento l’inagito di Dio esplode nel vagito di un bambino che si apre alla vita per raccontare la vera Bellezza, per cui – come quando si trova un tesoro nascosto in un campo - vale la pena spendere tutto per acquistare il terreno e portare alla luce la perla preziosa di una vita bella perché buona! E le tre lumache curiose, davanti all’epifania del Bello, depongono ricchezza, saggezza e zelo e riempiono la bisaccia di gratitudine semplice, di umiltà profonda e di lode gioiosa e riprendono il cammino verso casa con la vita trasformata, salvata, tirata fuori dall’appiattimento e dall’illusione, splendente di luce riflessa per l’incontro avuto faccia a faccia con la Bellezza.
La seconda icona che vogliamo utilizzare per far comprendere che quella della Bellezza è un’esperienza davvero universale, è quella che racconta di altri due tipi sempre incontrati in quel tempo e che del cammino stavano per farne l’epilogo di una resa, mentre la Via aveva altre sorprese in serbo per loro.
Dal racconto della loro esperienza[4], subito si percepisce l’appiattimento delle speranze e si coglie il fetore della morte. Sulla loro strada si incontravano spiaccicati per terra i sogni e le attese, insieme con le lacrime di una delusione che ormai aveva portato l’autunno nel loro cuore e il velo dell’insignificanza sul loro domani. Si portavano la morte dentro mentre tornavano verso casa, con l’amaro in bocca per non essere riusciti a strappare la vita dalle grinfie della morte! Chissà quanta gente avranno incontrato quel giorno lungo la strada, gente che chiedeva loro il perché di quella mestizia o gente che li strattonava perché camminavano come zombi ignari delle carraie dei carretti dei commercianti. Ma loro non vedevano e non sentivano, perché i loro occhi vedevano notte e le loro orecchie sentivano l’assordante rumore del silenzio. Ogni tanto sembravano riprendersi, e si guardavano, e si mettevano la mano uno sulla spalla dell’altro non riuscendo a trattenere le lacrime e a far tacere i commenti disperati di quel fatto accaduto che aveva tagliato le gambe alla loro gioia. E fu proprio in uno di questi momenti di lucida tristezza che incrociarono sulla loro strada un tale che camminava con loro forse già da un bel po’ e che con una domanda arginò per un attimo il fiume del lamento: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?»[5].
Lo guardarono un po’ intontiti, quasi a dire: E moh, che vuole questo? Ma il loro bisogno di sfogarsi era troppo grande e quel tale diventò il contenitore provvidenziale in cui versare il fiele del dolore! Lo avranno talmente sommerso di parole che forse, per un attimo, il tale si sarà sentito come un asino da soma caricato di quel Cristo morto da portare verso la speranza. E fu subito stupore! La notte sembrava pian piano lasciar spazio al giorno e dal deserto arido della loro tristezza sembrava vedersi all’orizzonte sorgere il sole di speranze inaspettate. Quel tale, «incominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegava»[6]… e non tanto nel senso del far capire, quanto invece nel senso del far vedere ciò che si riferiva a Lui, il crocifisso Risorto. Ed ecco l’esperienza della Bellezza: «quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro»[7]. Nemmeno il tempo di dire: Gesù… che sparì!
Io me li vedo tutti imbambolati che nel primo istante di lucidità si sfregano gli occhi come appena alzati per destarsi dalla notte della delusione ed iniziare il giorno nuovo della vita speranzosa resa gioiosa da quella presenza che gli ha solleticato l’anima e gli ha fatto sperimentare non più il bruciore di stomaco, come nei giorni dolorosi della morte del Maestro, ma stavolta avevano il bruciore di cuore! Esperienza straordinaria accesa dallo stupore di trovarsi senza preavviso nel vortice dell’abbraccio del Risorto, chiamati a diventare testimoni di un fatto inaudito che non ha cambiato solo il volto di Gesù, ma anche il loro volto, che da zombi depressi si è acceso in cantastorie gioiosi che buttano giù le sedie attorno al tavolo della meravigliosa epifania del Bello e corrono verso Gerusalemme per cantare ancora, attorno alle sue mura, la grandezza e potenza di Dio, il Signore Risorto! E il loro volto è ardente di gioia!
Sembra sentire l’eco anticipato di ciò che Teilhard de Chardin scriverà in Sulla felicità quando parlerà degli ardenti, dopo aver presentato gli stanchi e i buontemponi: «Qui mi riferisco a quelli per cui la vita è un’ascensione e una scoperta. Per gli uomini che formano questa terza categoria non solo è meglio essere che non essere, ma c’è sempre la possibilità – ed è l’unica che interessi – di diventare qualcosa di più. Per questi conquistatori appassionati d’avventure, l’essere è inesauribile – come un fuoco di calore e di luce, al quale è possibile avvicinarsi sempre più. Si possono canzonare questi uomini, trattarli da ingenui o trovarli noiosi. Ma dopo tutto sono loro che ci hanno fatto, e che preparano la Terra di Domani. Pessimismo e ritorno al passato, godimento del presente, slancio verso l’avvenire. Tre atteggiamenti fondamentali, di fronte alla Vita. E da questo, inevitabilmente, al centro stesso del nostro problema, ecco tre forme contrastanti di felicità. Felicità di tranquillità. Nessuna noia, nessun rischio, nessuno sforzo. Diminuiamo i contatti, limitiamo le necessità – abbassiamo le luci – rientriamo nella nostra conchiglia. L’uomo felice è quello che penserà, sentirà e desidererà di meno. Felicità di piacere, piacere immobile, o più ancora, piacere continuamente rinnovato. Lo scopo della vita non è agire e creare, ma approfittare. Ancora meno sforzo, dunque, o quel tanto necessario per cambiare coppa e liquore. Distendersi il più possibile, come la foglia ai raggi del sole, cambiare posizione a ogni istante per sentire di più: ecco la ricetta della felicità. L’uomo felice è quello che saprà gustare l’istante, che tiene fra le mani, nel modo più completo. Felicità di crescita o di sviluppo. Per questo terzo punto di vista, la felicità non esiste né ha valore per se stessa, cioè come oggetto che possiamo inseguire e di cui possiamo impadronirci, ma non è altro che il segno, l’effetto e come la ricompensa dell’azione convenientemente guidata»[8].
L’uomo felice è dunque colui che ha costantemente il bruciore di cuore e che, senza cercare direttamente la felicità, trova per di più inevitabilmente la gioia nell’atto di giungere alla pienezza e al punto estremo di se stesso, in avanti. La vita proposta dal Vangelo è, infatti, anzitutto gioia e stupore. «Stupore come quello di un bambino, che vede spalancarsi dinanzi ai suoi occhi orizzonti sempre nuovi e che impara a godere delle piccole gioie della vita»[9].
[1] Kasper W., La nuova evangelizzazione: una sfida pastorale, teologica e spirituale, in Id. – Augustin G. (edd.), La sfida della nuova evangelizzazione. Impulsi per la rivitalizzazione della fede, Queriniana, Brescia 2012, p. 29
[2] Cfr. Mt 2,1-12
[3] Cfr. Ceschin F. M., Non è petrolio, Claudio Grenzi editore, Foggia 2015.
[4] Lc 24,13-35
[5] Lc 24,??
[6] Lc 24,??
[7] Lc 24,??
[8] Teilhard De Chardin P., Sulla felicità, Queriniana, Brescia 20136, p. ???
[9] Martini C. M., Colti da stupore. Incontri con Gesù, Mondadori, Milano 2012, p. 127