UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DEL TEMPO LIBERO, TURISMO E SPORT
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

La Chiesa è di casa nello sport

Uscire in cortile e per strada.
23 Febbraio 2021

L’amore per lo sport è qualcosa che contagia moltissimo. Non tutte le persone che si sono attivate per sostenere lo sport sono stati sportivi. Alcuni hanno cominciato “accompagnando” dei piccoli al campo. Altri semplicemente sono stati invitati a “vedere” un evento o una partita per amicizia e magari per la prima volta. Altri perché hanno “ascoltato” il racconto di un avvenimento sportivo e ne sono rimasti affascinati.

La Chiesa da sempre ha dedicato attenzione al mondo sportivo, visto come una grande occasione per incontrare e far incontrare tra loro le persone, in vista dell’incontro con il Signore.

All’interno del mondo ecclesiale però, troppo spesso, si è pensato che si dovesse occupare di questo ambito chi ne fosse già impallinato; facendo sentire questa occasione come un impegno di pochi e spesso anche non un compito ordinario di una comunità parrocchiale.

Potremmo descriverla come una attività marginale e troppo spesso non inserita nei contesti parrocchiali ordinari, magari a partire dalla partecipazione al consiglio pastorale.

Il documento ci stimola ad essere creativi e attenti ad un mondo con il quale è possibile costruire alleanze di vario tipo, senza marginalizzarlo.

Ci sarebbero molti esempi sempre in bilico tra l’aprire il cortile delle nostre comunità e l’uscire per strada a incontrare chi si occupa di questo mondo.

Un punto chiave su cui riflettere è la centralità della comunità cristiana come soggetto attivo, che sia la parrocchia o altri soggetti ecclesiali.

Chi si occupa di sport cercando di portare in esso i valori cristiani condivisi con il mondo sportivo e anche quelli propri specifici, non può essere un “Marines” isolato che lavora, oltre che da solo, anche a titolo personale. Deve sentirsi inviato e sostenuto da una comunità esattamente come un catechista, un animatore giovanile o un operatore della carità. Questo è un punto nodale per la nostra riflessione su questo capitolo del documento: “La Chiesa è di casa nello sport” e allora potremmo dire “lo sport è di casa nella Chiesa”. Troppo facilmente si è delegato a pochi soggetti e a poche associazioni l’impegno di sviluppare proposte di pratica sportiva; e ancora meno sono state preparate persone che (a nome della comunità) si inserissero in attività svolte in ambienti non parrocchiali.

Questo ha generato delle difficoltà che andrebbero affrontate con attenzione: intanto poco per volta lo sport ha lasciato i nostri cortili per andare altrove. Poi alcune associazioni di ispirazione cristiana si sono sentite un po’ abbandonate nel loro compito, al punto da diventare, poco per volta, così estranee dagli ambienti che li hanno ispirati arrivando a smarrirne spesso l’identità o cercando continuamente di recuperarla dopo averla smarrita. Inoltre non si è quasi mai preparato qualcuno che, a nome della comunità, si inserisse a proporre attività sportiva in luoghi non immediatamente riconducibili all’appartenenza cattolica; un po’ come un missionario che si spende per essere “presenza di lievito” nel mondo sportivo.

La chiave di volta a questo punto è ricondurre tutto ad una visione comunitaria delle nostre visioni e mai individualistica. Chi si attiva negli ambienti sportivi lo deve sempre fare sentendosi mandato a svolgere un grande compito ecclesiale di evangelizzazione e avendo alle spalle una comunità che lo sorregge e con la quale si confronta. Questo vale anche per le società sportive che non possono vedere le parrocchie solo come luoghi in cui fare arruolamento per le proprie squadre, ma dovrebbero pretendere sempre di essere considerate come dei soggetti pastorali e di mettersi a disposizione per la crescita integrata e non contraddittoria degli stessi ragazzi che in un territorio vanno a scuola o a catechismo.

Lo sviluppo di questo pensiero avrebbe delle conseguenze enormi nel rivedere le nostra pratiche pastorali e  forse anche il pensiero sull’opportunità educativa e valoriale che lo sport ha in sé.

Parrocchie che, nel consiglio pastorale, si interroghino su quale contributo la comunità ecclesiale può dare ai ragazzi che fanno sport, potrebbero far nascere soluzioni creative e non scontate (uscendo dal limite del “si è sempre fatto così”).

Associazioni e società sportive (in particolare nate e riconosciute come espressione ecclesiale) dovrebbero con più insistenza chiedere di essere inserite in un ordinario contesto parrocchiale comunitario, dovendo però anche al proprio interno, sforzarsi di fare scelte sempre più coerenti col vangelo e con il compito di evangelizzare il mondo, perdendo una certa presunzione di fare solo le “proprie” cose senza dover rendere conto a nessuno delle scelte che si fanno. Allora da questo nuovo punto di partenza potremo anche attraverso lo sport “accompagnare, ascoltare e vedere” quei giovani e quei ragazzi e ragazze che sono disperatamente alla ricerca di un senso da dare alla propria vita che sia pieno e felice: riaprendo i cortili e uscendo per strada.

Don Franco Finocchio, Incaricato diocesano per lo sport di Novara