di Alessandra Valente
Classe 1993, nato a Roma da padre congolese e madre italiana, Maxime Mbanda è oggi non solo uno dei punti di riferimento della nazionale italiana di rugby, ma è anche uno dei 56 cittadini italiani che il 2 giugno scorso è stato insignito dal capo di Stato Sergio Mattarella, dell’onorificenza di Cavaliere al merito della Repubblica per essersi distinto nel suo servizio alla comunità durante l’emergenza da coronavirus.
Nei giorni più duri di lotta al «covid-19», il campione azzurro si è rimesso subito in gioco, prestando soccorso sulle ambulanze della Croce Gialla di Parma e accompagnando per oltre due mesi negli ospedali cittadini e della provincia, le persone che avevano contratto il virus e riportando a casa i pazienti dimessi.
Maxime, durante il servizio di volontariato, c'è stato un momento in cui hai avuto paura?
Ovviamente all'inizio la paura c'era. Penso sia normale provare paura, è impossibile dire di non averne. L'importante però è come si reagisce a questa paura. Anche i miei familiari erano preoccupati per me, ma io semplicemente ho chiesto loro di fidarsi di me, che avrei pensato 10, 100 volte prima di fare qualsiasi movimento, soprattutto dentro i reparti di malattia infettiva ed a contatto con le persone positive al virus; che mi sarei protetto sempre, anche perché quando sei in servizio è come quando sei in campo: devi essere concentrato. I volontari in questo sono stati fondamentali.
La prima cosa che mi ha insegnato il presidente Luigi Iannaccone, appena sono arrivato in Seirs - Croce Gialla, è stata come tutelarmi con tutti i dispositivi di protezione individuali e a proteggere a mia volta la mia compagna che mi aspettava a casa ogni sera. Ho comunque avuto l'appoggio di tutti, famiglia, amici ed anche le Zebre Rugby mi hanno dato il loro concreto supporto, convertendo persino due auto di due ragazzi, che sono tornati nei loro paesi d'origine, in due auto usate dalla Croce Gialla, per portare alimenti e farmaci a chi ne ha bisogno in questo periodo.
Qual è l'insegnamento più grande che questa esperienza ti ha lasciato?
Sicuramente io, ma come penso molte altre persone, ho capito che ci sono molte cose che diamo per scontate come appunto la salute, la famiglia e l'amore, cose che tanto scontate non sono; al contrario, molte cose alle quali di solito attribuiamo valore enorme, come il telefono di ultima generazione, l'auto più nuova o gli abiti alla moda, sono solo degli accessori e non meritano tutta questa importanza.
Ti aspettavi questa importante onorificenza da parte del Presidente della Repubblica e che sensazioni hai a riguardo?
Sicuramente è stata una notizia inaspettata. Ricevere questo riconoscimento così prestigioso è per me motivo di orgoglio. Ringrazio il presidente Mattarella per il titolo conferitomi, anche se credo che il merito vada a tutte le persone che hanno dato una mano in questo periodo così delicato e che lo fanno da anni, anche in silenzio. Ringrazio i volontari dell’associazione Seirs Croce Gialla di Parma, ma anche tutte le protezioni civili e le associazioni sparse in Italia e nel mondo. Per me è una notizia speciale, incredibile, che non ho ancora metabolizzato! Il mio impegno col mondo dell’associazionismo e del volontariato non finirà qui, ma proseguirà anche in futuro!
Nel rugby si corre in avanti ma si passa la palla indietro: quanto questa regola vale nella vita di tutti i giorni?
Sì, nel rugby si raggiunge un obiettivo, che è la meta, passando la palla indietro e sembra quasi che le due cose stiano in antitesi. Proprio come in questo particolare momento storico, dove per raggiungere l'obiettivo, quello di uscire dall'emergenza da Coronavirus, sembra che si sia dovuto fare un passo indietro, come rimanere a casa in quarantena. Stando in casa abbiamo aiutato anche noi, nonostante i momenti difficili, a risolvere la situazione: nelle difficoltà possiamo andare avanti facendo qualche centimetro indietro, ma arrivando pur sempre alla meta.
Ai giovani dici: "Se l'unica cosa che riesci a fare in questo momento è lamentarti sui social, prova a fare una ricerca, una chiamata e vedi se c'è qualcuno che ha bisogno di te": è da qui che bisogna ripartire?
Il mio messaggio voleva essere quello di sensibilizzare le persone, noi giovani soprattutto, perchè siamo cresciuti con i social network e per noi è stato facile far passare il tempo velocemente in questo periodo di lockdown: oltre alle varie attività che potevano essere svolte a casa, siamo rimasti in contatto con amici e familiari sui social network. Ci sono molte persone anziane, invece, che sono state a casa per molto più tempo di noi, perché soggetti più a rischio contagio, che si trovavano e si trovano tutt'ora soli in casa, alcuni senza televisione, senza possibilità di parlare con nessuno.
Il mio messaggio era particolarmente rivolto ai giovani che hanno avuto il timore di diventare volontari nel periodo di maggiore emergenza: volevo che sapessero che ci sono molte piccole cose che si possono fare in totale sicurezza, oltre a quelle organizzate dalle varie associazioni, come sollevare il telefono e chiamare un parente o un amico di famiglia, specialmente se sappiamo che si trova a casa da solo. Una telefonata di dieci/quindici minuti al giorno non ci toglie alcun tempo prezioso, è invece un regalo per chi ha bisogno di una chiacchierata e di un sorriso in un periodo così.
Si ringrazia per la preziosa collaborazione Simone Del Latte, Ufficio stampa Zebre Rugby Club - Parma