di Gionatan De Marco, direttore UNTS della CEI
Cari amici, continuiamo la nostra riflessione su un ipotetico modello di turismo conviviale… Ed eravamo rimasti ad analizzare il fattore “stupore” come emozione, ma per noi è molto di più. È anche atteggiamento!
Lo stupore è una emozione che permea tutta la nostra vita, fin dalla tenera età, ma sulla quale da un certo momento in poi ci soffermiamo poco a pensare. Crescendo può capitare che non si abbia la stessa curiosità o voglia di imparare rispetto a quando si era bambini. Per questo si arriva a considerare quasi tutto per scontato. In realtà lo stupore è una emozione più frequente di quanto ci facciamo caso. Quotidianamente siamo alla ricerca di qualcosa di nuovo che catturi la nostra attenzione e il desiderio di andare oltre. Ed ogni singolo giorno, se ci prestiamo attenzione, ha schiusa dentro di sé la sua scoperta quotidiana. Ma occorre uno sguardo capace di cogliere ciò che suscita lo stupore. «Vedere è incontrare la realtà: l’occhio è semplicemente l’uomo, nella misura in cui egli può essere toccato dalla realtà nelle forme di questa ordinate alla luce»[1].
Uno sguardo semplice e aperto alla trascendenza del percepito che Agostino d’Ippona descrive così nelle sue Confessioni: «Non una bellezza corporea, né una grazia temporale: non lo splendore della luce, così caro a questi miei occhi, non le dolci melodie delle cantilene d’ogni tono, non la fragranza dei fiori, degli unguenti e degli aromi, non la manna e il miele, non le membra accette agli amplessi della carne. Nulla di tutto ciò amo, quando amo il mio Dio. Eppure amo una sorta di luce e voce e odore e cibo e amplesso nell’amare il mio Dio: la luce, la voce, l’odore, il cibo, l’amplesso dell’uomo interiore che è in me, ove splende alla mia anima una luce non avvolta dallo spazio, ove risuona una voce non travolta dal tempo, ove olezza un profumo non disperso dal vento, ov’è colto un sapore non attenuato dalla voracità, ove si annoda un abbraccio non interrotto dalla sazietà. Ciò amo, quando amo il mio Dio»[2].
E la trasparenza di uno sguardo che sa andare oltre il percepito può trasformare lo stupore da emozione in atteggiamento, anche attraverso l’esperienza del turismo conviviale. Si tratta, infatti, di «costruire situazioni con uno sforzo creativo, perché i fatti quotidiani diventino apprendimenti. Prende così corpo un sapere diverso da quelli tradizionalmente presenti nel lessico dei formatori (sapere, saper fare, saper essere). È il quarto sapere, il sapere profondo che viene dall’esperienza realmente vissuta»[3].
Lo stupore, grazie all’esperienza del turismo conviviale, potrà tornare ad essere fucina dei perché?
Possiamo dire che esplorare è un bisogno umano innato, essendo collegato alla curiosità e alla spinta innata all’esplorazione intellettuale. Ma abbiamo perso, e dovremmo cercare di recuperare, la capacità che hanno i bambini di lasciarsi sorprendere da tutto quello che vedono la prima volta. Lo stupore è ciò che suscita interesse mettendo in moto la curiosità che si esprime in quella raffica interminabile di perché? Quando i nostri figli di due, tre o quattro anni ci martellano di domande apparentemente illogiche, non chiedono né reclamano alcuna risposta. Non intendono cambiare l’ordine stabilito delle cose. E con il loro modo di meravigliarsi davanti a una realtà che esiste, benché potrebbe, semplicemente, non essere esistita»[4]. I bambini – come tutti i curiosi – sanno che la realtà esiste, non è frutto della loro fantasia, è un insieme di dati da raccogliere, elaborare, confrontare, interpretare e collegare tra loro. In ogni curioso c’è un bambino che non si arrende di fronte alle risposte, ed ogni volta, con gli occhi spalancati, mosso dall’attrattiva che la realtà esercita su di lui, si pone nuove domande, anche quando le risposte tardano ad arrivare. Non si arrende. È lo stupore di fronte le cose a muovere questa incessante ricerca, la quale non si riduce a mera curiosità momentanea, ma dà avvio ad un processo in cui il desiderio lo porta ad entrare in connessione profonda con il bello, di conoscerlo.
Lo stupore, grazie all’esperienza del turismo conviviale, potrà tornare ad essere scuola di sguardi.
«Se prestiamo attenzione ai nostri bambini, notiamo in loro un’ammirevole e sorprendente capacità di stupirsi di fronte alle cose più trascurabili, ai dettagli che fanno parte del quotidiano»[5]. Accorgersi delle cose è il primo atto conoscitivo ed è da questa azione che nasce la curiosità, un’attrattiva verso quanto osservato. Percepiamo qualcosa di bello che prende il sopravvento in mezzo ad una enorme varietà di forme e fenomeni, una bellezza intravista ma non ancora posseduta, che alimenta il desiderio irresistibile della ricerca. Che ci piaccia o no, in quell’istante perdiamo il controllo e ci proiettiamo fuori da noi stessi, togliendoci di dosso la coperta calda e comoda delle nostre abitudini conoscitive per aprirci al mondo. La meraviglia di fronte alle cose non tocca soltanto il nostro livello sentimentale ma ci coinvolge nella nostra totalità. In un secondo momento interviene la ragione per rendere cosciente la contemplazione stessa, per tradurla in parole e trasformarla in azione, verso un ulteriore approfondimento di quanto contemplato.
Lo stupore, grazie all’esperienza del turismo conviviale, potrà tornare ad essere radice di gratitudine.
Lo stupore – abbiamo detto – è il desiderio di sapere. Osservare le cose piccole e grandi con occhi trasparenti consente di restare a bocca aperta davanti al sol fatto che esistono, sentendo il desiderio di conoscerle nuovamente o per la prima volta. «I piccoli si meravigliano perché non danno il mondo per scontato, ma lo reputano un regalo. […] Il meccanismo naturale dello stupore è esattamente ciò che consente di trascendere dal quotidiano per poterlo raggiungere. E di conseguenza, arrivare a un atteggiamento di profonda umiltà e gratitudine»[6]. E la gratitudine è una scelta, anzi, potremmo dire che vivere significa ringraziare. La gratitudine, per chi vive le esperienze del turismo conviviale, è «un vissuto umano di eccezionale potenzialità per la comprensione della vera identità umana, per la crescita e la maturazione del singolo e per la creazione di legami sociali non solo funzionali, ma edificanti, veramente umani e umananti, dunque educativi. Per tale motivo, la gratitudine va riconosciuta come uno dei tratti tipici dell’essere divenuti compitamente persone»[7].
Lo stupore, grazie all’esperienza del turismo conviviale, potrà tornare ad essere scintilla di gratuità.
È l’atteggiamento proprio della convivialità in cui si traduce lo stupore di essersi messi in gioco con qualcun altro nella dimensione dell’essere-con, ma anche con il rispetto e la salvaguardia della singolarità e alterità di ciascuno e l’apertura di entrambi alla Bellezza infinita[8], rendendo ogni dono, proprio perché grato, libero dal dovuto e dal debito. La gratuità si pone, nella logica del turismo conviviale, sulla linea della realizzazione del bene altrui, del vivere la prossimità con l’ospite, del sorprenderlo attraverso il dono del proprio essere volto di una Comunità ospitante. «La gratuità del dono rimanda quindi alla dimensione della libertà come libertas electionis, libertà che si attiva in vista dell’altro e del con-vivere con esso (cioè del legame)»[9]. Il turismo conviviale, quindi, contribuirà a far sperimentare la logica del dono e «una rinnovata presa di coscienza dell’identità umana data, quella relazionale e oblativa, e dell’esistenza umana da donare generando legami intenzionali alla luce della verità del dono, mediante gesti concreti»[10].
Lo stupore, grazie all’esperienza del turismo conviviale, potrà tornare ad essere porta per l’estasi.
«Vivere il dono come legame e il legame come dono richiede, in effetti, un nuovo stile di vita interpersonale e sociale che recuperi e attivi, nelle mutue relazioni donanti, sia la mente che il cuore. […] È da tenere presente che il dono, sperimentato tra gratuità e gratitudine, contiene una riserva di senso. […] È necessaria quindi una nuova razionalità o razionalità allargata, atta a cogliere l’orizzonte di manifestazione dell’essere, il fondamento, quindi, capace di afferrare anche l’integralità dell’essere umano, la verità della sua essenza ed esistenza»[11]. È ciò che chiamiamo estasi. Ed «estasi non significa alienazione dell’essere finito da se stesso per ritrovarsi nella sua autenticità oltre se stesso nell’infinito, ma significa superamento della nostra estraneità davanti all’amore assoluto in cui l’io (o anche il noi) finito, chiuso in se stesso, anzitutto e soprattutto vive, significa essere attirati nella sfera della gloria tra il Padre e il Figlio quale è apparsa in Gesù Cristo»[12]. Si innesca, quindi, un processo virtuoso di adesione personale alla Bellezza incontrata attraverso l’esercizio della libertà che si manifesta come capacità di avere fiducia, assunzione di responsabilità nei confronti di sé e degli altri, apertura alla convivialità. Come scriveva Von Balthasar nella sua opera Gloria, «estasi deve essere intesa come un essere rapiti dalla gloria di Dio – dal suo amore – in modo da non rimanere spettatori, ma da divenire collaboratori della gloria»[13]. E così la intendiamo noi, nella proporre il modello del turismo conviviale come esperienza di umanizzazione e di evangelizzazione.
Nell’esperienza del turismo conviviale, lo stupore è una virtù.
Comunità ospitante e ospite si ritroveranno a percorrere insieme un cammino di stupore, risvegliando il desiderio di riappropriarsi della propria vita percorrendo sentieri nella Bellezza, dove ognuno si scopre amato e dove impara ad esprimere amore. Comunità ospitante e ospite ritroveranno la capacità di uno sguardo positivo nei propri confronti e nei confronti degli altri e di tutto ciò che li circonda, ritrovando la capacità di vedere l’unicità e preziosità della propria vita con i talenti e i doni ricevuti e custoditi e della vita dell’altro e del creato. Attraverso l’arte dello stupore, Comunità ospitante ed ospite percorreranno un cammino di educazione alla Bellezza della vita che implica un’educazione «all’interiorità, all’attenzione, al silenzio, all’ottimismo, alla speranza, allo stupore, tutti atteggiamenti che consentono di plasmare un cuore grato, aperto alla vita buona e serena a cui ogni essere umano aspira. Tuttavia quest’apertura alla bellezza non è ingenuità, ma umiltà capace di sperimentare anche le conseguenze di una natura ferita, nella consapevolezza che si tratta di ferite che lasciano intravedere l’Altro»[14].
[1] Von Balthasar H.U., Gloria, vol. I, op. cit., p. 361
[2] Agostino, Confessioni, 10.6.8, ???
[3] Calabrese S., Chiesa, «comunità educante»? Spunti psico-sociologici per la formazione ecclesiale, in Zuppa P. (a cura di), Apprendere nella comunità cristiana, Elledici, Leumann (TO) 2012, p. 27
[4] L’Ecuyer C., Educare allo stupore, Ultra, Roma 2013, p. 30
[5] Ibidem, p. 22
[6] Ibidem, p. 31
[7] Spólnik M., La gratitudine uno stile di vita relazionale, in Meneghetti A. – Spólnik M., Gratitudine ed educazione. Un approccio interdisciplinare, LAS, Roma 2012, p. 18
[8] Cfr. Zanardo S., Il legame del dono, Vita e pensiero, Milano 2007, pp. 542-545
[9] Ibidem, p. 547
[10] Spólnik M., La gratitudine uno stile di vita relazionale, op. cit., p. 44
[11] Ibidem, p. 45
[12] Von Balthasar H.U., Gloria, vol. VII, op. cit., p. 349
[13] Ibidem, pp. 32-33
[14] Séïde M., Gratitudine una categoria teo-antropologica, in in Meneghetti A. – Spólnik M., Gratitudine ed educazione. Un approccio interdisciplinare, op. cit., p. 232