Quando mi hanno chiesto di partecipare alle olimpiadi di Parigi come cappellano della delegazione olimpica italiana, ho davvero avuto un tuffo al cuore per l’emozione. Amo lo Sport e credo sia un linguaggio universale di educazione e fraternità, pur con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti. La vita si deve riempire di passione e lo sport, per molti, è una delle più grandi.
Partiamo dall’inizio.
Io sono parroco di due parrocchie in città a Novara e insegno in un liceo scientifico statale da oramai trent’anni. Ho avuto l’opportunità di avvicinarmi al mondo sportivo proprio in seminario con i miei amici e futuri confratelli. Da diversi anni svolgo un servizio di collaborazione con l’ufficio della CEI per la Pastorale del Tempo libero, turismo e sport, seguendo progetti di formazione sportiva e pastorale. Mi preme ringraziare la CEI per la proposta e per la fiducia e il CONI che per tutta l’esperienza si è preso cura di me (ero alla prima olimpiade) con grande attenzione e gentilezza.
La parola gentilezza è quella che mi è risuonata nella mente per tutti i 20 giorni dell’olimpiade. Tutti la praticavano come se fosse uno sport “olimpico”: sorrisi, disponibilità, cura, educazione: davvero un grande esempio di comportamenti sportivi a 360°.
A Parigi era presente tutto il mondo, riunito in una grande festa di fraternità, quasi tutti giovani, riconoscibili per le loro origini dalle divise o dallo sventolio delle loro bandiere.
Per quanto mi riguarda io ho fatto … il parroco, dicendo messa la domenica e ascoltando o conoscendo con discrezione e con attenzione chiunque ha avuto il piacere di passare qualche momento con me. Ho incontrato persone speciali che ora ho nel cuore e che ricordo con affetto. Per molti giorni ho potuto condividere il clima di festa che si è respirato nel villaggio. Pur essendo tutti pronti a gareggiare e a competere (e immaginate i sacrifici fatti e la fatica anche solo per essere presenti), dentro il villaggio c’era un clima di serenità: dalle chiacchierate nella mensa comune, ai sorrisi, agli incontri di atleti e responsabili di nazioni diverse che fraternizzavano anche giocando a calcetto e ping pong, tutto aveva un senso di apparente normalità.
Credo che la presenza di un sacerdote nel Villaggio Olimpico sia di grande utilità: il solo esserci porta, per chi ti incontra, subito, un respiro diverso e dei discorsi di senso ampli e significativi. Sono convinto che la Chiesa in uscita passi anche da queste esperienze, discrete, attente e aperte al mistero della vita che c’è in tutti i figli di Dio, da qualunque parte del mondo vengano e qualunque esperienza di fede professino.
E c’è lo sport, il vero protagonista di questa grande avventura. Molte le emozioni da raccontare, ne scelgo due: la sportività del pubblico e la finale dei cento metri.
La sportività è stata travolgente, coinvolgente, non solo per il “tifo” a cui forse siamo abituati, ma per l’entusiasmo con cui venivano accompagnati gli atleti di tutte le nazioni in tutte le discipline, talvolta bisognava tapparsi le orecchie perché i decibel erano davvero alti: eravamo dentro una grande festa gioiosa e in alcuni momenti guardandomi attorno riuscivo a scorgere con un sorriso tante famiglie, giovani e bambini coinvolti nella competizione come se fossero atleti in pista o in piscina.
Nella finale dei cento metri (la gara sportiva più vista al mondo) prima dello sparo dello starter si è creato un tale silenzio, quasi surreale, che riuscivo a sentire lo scorrere della Senna che passava accanto allo stadio con 80.000 persone raccolti in un silenzio carico di incertezza anche perché nessuno poteva sapere come sarebbe andata a finire. Poi lo sparo e un entusiasmo folle durato meno di 10”. Un’emozione indimenticabile.
Posso dire che sono stato felice di avere stato parte di questa meravigliosa avventura e che mi porto dentro tante riflessioni da sviluppare in questi prossimi anni a servizio dello sport che è di casa nella Chiesa.
Don Franco Finocchio, cappellano di Italia Team a Parigi 2024