di Gionatan De Marco, direttore UNTS
La Bellezza, la vera Bellezza, ha maniere imprevedibili per raggiungerci. E porre pian piano le basi per un turismo conviviale, declinazione al futuro del turismo religioso, è ciò che tenterà di aprire un’ulteriore strada alla Bellezza, per darle la possibilità di raggiunge ogni uomo e ogni donna del terzo millennio, lasciando cadere Buona Notizia lungo la via e orizzonti dove la solitudine e la malinconia lasciano il posto al benessere e alla gioia.
Non si tratta di un cambiamento di sostanza, ma soprattutto di un cambiamento di prospettiva e di orizzonte, cercando di raccogliere i segni dei tempi, disseminati tra i desideri e i progetti dell’uomo contemporaneo e conspaziale, per poterli intrecciare con la Buona Notizia che da sempre cerca di trasformare cuori e vite degli uomini e delle donne di ogni tempo. È ciò che ci ricorda Francesco iniziando la sua Esortazione apostolica Evangelii gaudium: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia. In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni»[1]. Ed è tra queste vie su cui camminare che si inserisce il turismo conviviale con la sua quaestio fondamentale: la Bellezza!
Il turismo conviviale si presenta come via di nuovo umanesimo. Non si tratta di inventare o progettare un nuovo uomo, ma si avverte la necessità di tracciare strade lungo le quali ogni persona possa riscoprirsi essere aperto e dinamico, capace di Bellezza che – se incontrata – trasfigura. Sappiamo molto bene come una visione utilista tiranneggia il nostro tempo, sino ad alimentare un tecnicismo che esaspera l’armonia della techne e innesca una sorta di attivismo produttivistico sicuro di capire tutto in facere. E frutto di questa cultura è la malinconia che ormai si rintana in tante menti e in tante scelte. Una malinconia che ha intristito la vita e annerito il futuro. In tal senso, esemplari suonano le parole della poetessa e filosofa Maria Zambrano: «L’umanesimo di oggi normalmente è l’esaltazione di una certa idea dell’uomo, che neanche si presenta come idea, bensì come semplice realtà: la realtà dell’uomo, senza che rinunci più alla sua limitazione; l’accettazione di sé come schietta realtà psicologico-biologica; il suo rafforzamento in una cosa che ha alcuni bisogni determinati, giustificati e giustificabili. Di nuovo l’uomo si è incatenato alla necessità, e adesso per di più per decisione propria e in nome della libertà»[2]. E frutto di questa scelta è l’individualismo esasperato che può farsi dis-umanità, seconda la logica dello scarto, o trans-umanità, quando il limite che va forzato è la stessa persona.
Il turismo conviviale può dare la possibilità di riscoprire che è al futuro che si coniuga la dinamica del presente, permettendo alla speranza di ritrovare spazio nelle pagine di questa nostra storia. Quella speranza che – come ebbe a scrivere Charles Péguy – «è una bambina da nulla […] che non è mai stanca»[3] e che attiva, con il turismo conviviale, un laboratorio di nuovo umanesimo. Un umanesimo che è in ascolto, concreto, plurale e integrale, d’interiorità e trascendenza. Un umanesimo che restituisca alla persona la capacità di affezionarsi creativamente e che faccia della via relazionale l’esperienza concreta di generatività espressa nei movimenti del desiderare, mettere al mondo, prendersi cura, lasciare andare. Un umanesimo che fa dell’esperienza concreta di convivialità il laboratorio in cui si apprende l’arte della fiducia. Quella fiducia che pone la persona sotto il segno del desiderio e della curiosità[4].
Il turismo conviviale si presenta, inoltre, come via di nuova evangelizzazione. Un’evangelizzazione non fatta tanto di parole dette, ma di situazioni abitate dalla comunità cristiana, attraversando l’umano trasfigurandolo. Evangelizzare significherà attraversare l’umano abitando la nostalgia, non solo come inquietudine, ma anche come mistero. Significherà custodire la trascendenza, condizione per tener insieme la mancanza con la pienezza, il limite con l’eccedenza, la realtà particolare con la sua proiezione universale. Significherà inabitare il silenzio, cimentandosi con gli orizzonti ultimi dell’esistenza, facendo dell’ascolto l’atto originario e distintivo del credere. Evangelizzare, poi, significherà attraversare l’umano abitando il desiderio dell’altro, attivando esperienze di dialogo e processi che portino all’incontro con l’altro che è allo stesso tempo provocazione e salvezza. Significherà essere comunità che si fa popolo e vicina al popolo, che sa pensarsi innanzitutto come fraternità e che sa usare linguaggi diversi, ma pur sempre comprensibili. Significherà attivare processi di comunità capaci di allenare lo sguardo alla simpatia e all’empatia verso ogni uomo e ogni donna, per far crescere e dar sapore alla storia di ciascuno. Significherà dar forma alla profezia, accompagnando ogni uomo e ogni donna a dare alla propria vita la forma del Vangelo, secondo i tratti dell’umanità di Cristo: umiltà, disinteresse e beatitudine[5]. Evangelizzare, infine, significherà attraversare l’umano abitando lo stupore, dando qualità alla vita di ogni persona. Lo ricorda papa Francesco, quando dice: «In un mondo nel quale la tecnica è spesso intesa come la risorsa principale per interpretare l’esistenza, voi siete chiamati, mediante i vostri talenti e attingendo alle fonti della spiritualità cristiana, a proporre un modo alternativo di intendere la qualità della vita, e incoraggiare uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di gioire profondamente senza essere ossessionato dal consumo, e a servire la creazione e la tutela di oasi di bellezza nelle nostre città troppo spesso cementificate e senz’anima. Voi siete chiamati a far conoscere la gratuità della bellezza»[6]. E la Bellezza è una questione essenziale e determinante per l’uomo e la donna di oggi che cerca di tessere una vita qualitativamente buona, vera e bella. Scriveva Von Balthasar: «La nostra parola iniziale si chiama bellezza. […] Chi, al suo nome, increspa al sorriso le labbra, giudicandola come il ninnolo esotico di un passato borghese, di costui si può essere sicuri che – segretamente o apertamente – non è capace di pregare e, presto, nemmeno di amare»[7].
Da qui l’urgenza, come comunità cristiana, di apprendere l’arte della via pulchritunis come una delle forme più significative di nuova evangelizzazione, capace di penetrare, guarire e trasfigurare l’anima e la vita dell’umanità contemporanea. In Evangelii gaudium si legge: «Annunciare Cristo significa mostrare che credere in Lui e seguirlo non è solamente una cosa vera e giusta, ma anche bella, capace di colmare la vita di un nuovo splendore e di una gioia profonda, anche in mezzo alle prove. In questa prospettiva, tutte le espressioni di autentica bellezza possono essere riconosciute come un sentiero che aiuta ad incontrarsi con il Signore Gesù. Non si tratta di fomentare un relativismo estetico, che possa oscurare il legame inseparabile tra verità, bontà e bellezza, ma di recuperare la stima della bellezza per poter giungere al cuore umano e far risplendere in esso la verità e la bontà del Risorto. Se, come afferma sant’Agostino, noi non amiamo se non ciò che è bello, il Figlio fatto uomo, rivelazione della infinita bellezza, è sommamente amabile, e ci attrae a sé con legami d’amore. Dunque si rende necessario che la formazione nella via pulchritudinis sia inserita nella trasmissione della fede. È auspicabile che ogni Chiesa particolare promuova l’uso delle arti nella sua opera evangelizzatrice, in continuità con la ricchezza del passato, ma anche nella vastità delle sue molteplici espressioni attuali, al fine di trasmettere la fede in un nuovo “linguaggio parabolico”. Bisogna avere il coraggio di trovare i nuovi segni, i nuovi simboli, una nuova carne per la trasmissione della Parola, le diverse forme di bellezza che si manifestano in vari ambiti culturali, e comprese quelle modalità non convenzionali di bellezza, che possono essere poco significative per gli evangelizzatori, ma che sono diventate particolarmente attraenti per gli altri»[8]. Sarà la Bellezza, mostrata e ascoltata attraverso le esperienze del turismo conviviale, a dare forma alla gratuità della Buona Notizia, all’irruzione dell’Inatteso nelle maniere sensibili del percepire Dio, Trinità d’Amore.
[1] Francesco, Evangelii gaudium, 1
[2] Zambrano M., Frammento sull’amore, Mimesis, 2011
[3] Péguy C., I misteri, Jaca Book, Milano 1978, p. 165
[4] Cfr. Augé M., Condividere la condizione umana, Mimesis, Milano 2019, pp. 85-88
[5] Francesco, Discorso per l’incontro con i rappresentanti del V Convegno nazionale della Chiesa Italia, 10 novembre 2015
[6] Francesco, Discorso ai membri del movimento “Diaconie de la Beauté”, 24 febbraio 2018
[7] Von Balthasar H.U., Gloria, I, pp. 10-11
[8] Francesco, Evangelii Gaudium, 167