La pandemia di Covid 19 cade in un periodo storico di trasformazione sociale profonda. Quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma il cambiamento di epoca1. Un’epoca di globalizzazione, interconnessione, esplosione del digitale, profondi cambiamenti climatici…
Sentiamo spesso dire che il Covid-19 cambierà il mondo e le nostre vite. In realtà la diffusione del Coronavirus, così capillare e veloce, è una conseguenza del cambiamento in atto. Più che causa di cambiamento, la pandemia sta svolgendo il ruolo di acceleratore del cambiamento. Una sorta di Caronte o, se vogliamo essere più ottimisti, un Virgilio che ci sta velocemente traghettando nella nuova epoca. Una macchina del tempo che ci sta facendo fare un balzo in avanti nel futuro, in termini di consapevolezza, stili di vita, modo di lavorare e relazionalità.
Certo, la pandemia è una ferita: porta con sé morti, nuove povertà, solitudine e isolamento.
Tuttavia spetta a noi guardare a questo tempo con uno sguardo nuovo, di speranza. Oltre ad una ferita, il Covid-19 ci offre una feritoia, una finestra aperta sul futuro prossimo.
Ogni attività di socializzazione e di inclusione sarà chiamata a ripensarsi, a rinnovarsi, a diventare otre nuovo per poter rispondere ai nuovi bisogni dell’uomo e della società. Ogni tempo ha le sue esperienze. L’educazione non formale, anche attraverso lo sport e il turismo, si è sempre mostrata permeabile ai contesti storici e sociali, incarnandosi nella storia del proprio tempo, plasmandosi alla cultura. Questa capacità di adattamento ha permesso
alle esperienze educative di sopravvivere ai cambiamenti e alle crisi, trasformandosi in continuazione e proponendosi come amplificatori della cultura dell’inclusione e degli stili di vita, personali, familiari e sociali.
In allegato il testo e un commento tratto da Avvenire