di Alessandra Valente
Siamo a Castelmonte, in Friuli, presso il Santuario della Beata Vergine, una delle dimore del Signore in cui l'uomo pellegrino è accolto dall'abbraccio della Madonna Viva. Ed è quì che incontriamo fra Gianantonio, il Rettore, a cui vorremmo fare alcune domande in questo periodo difficile del nostro Paese anche perché proprio qui la comunità dei frati è stata particolarmente colpita dal Covid-19.
Cosa è significato avere il Coronavirus in convento? Come avete affrontato quel periodo difficile?
Quando ripenso all’esperienza del Coronavirus mi ritorna alla mente un periodo che per certi aspetti ormai sento già un po’ lontano. Grazie a Dio sono guarito da oltre due mesi. All’inizio di marzo io sono stato il primo ad accusare i sintomi del Covid 19 e ho cercato immediatamente di attenermi scrupolosamente alle norme anti contagio indicate dal servizio prevenzione sanitaria.
Sono rimasto nella mia stanza senza mai uscire per circa 10 giorni. Alcuni fratelli a turno mi portavano i pasti, anche se, a dire il vero, l’appetito non era dei migliori. Verso il nono giorno ho iniziato a sentirmi un po’ meglio, ma appena avevo recuperato un po’ di forze, ahimè, nel giro di 10 gg tutti i mie confratelli un po’ alla volta si erano ammalati allo stesso modo. Per questo motivo appena ristabilito mi sono rimboccato le maniche per organizzare la cucina del convento e assicurare un pasto caldo ai frati ammalati. Da quel momento in poi per circa trenta giorni ho smesso i panni del superiore e sono diventato il cuoco e l’infermiere del convento. L’aspetto più critico è stata la totale interruzione della vita comunitaria: noi frati secondo lo spirito di S. Francesco di Assisi viviamo in fraternità, preghiamo insieme, lavoriamo insieme, mangiamo insieme e tutto ciò che facciamo lo decidiamo insieme. Tuttavia il Covid ci ha costretti in pochi giorni ad una vocazione di tipo eremitico, o meglio alla reclusione, una scelta di vita che non abbiamo certamente scelto ma che siamo stati costretti a subire non senza sofferenza. Non nascondo che l’esperienza del Covid sia stato un vero e proprio shock per la nostra vita comunitaria, in special modo per i frati più anziani, ma posso con certezza affermare che la preghiera individuale e la fede nel Signore è stata, ed è tuttora, la nostra forza: ogni giorno ognuno di noi, anche se impossibilitato a celebrare in Santuario, si è sempre sentito in comunione con tutta la chiesa sparsa nel mondo intero, una chiesa guidata e sorretta dalle parole incoraggianti di papa Francesco.
Qual è il rapporto tra il Santuario e la gente che vive nei borghi vicini?
Dal punto di vista demografico negli anni 60, con la fine della civiltà contadina, è avvenuto lo spopolamento dei paesi limitrofi delle Valli del Natisone e molti friulani si sono recati nei grandi centri urbani o all’estero in cerca di lavoro. Tuttavia i pochi e anziani rimasti nelle varie borgate sentono ancora oggi che la loro fede è profondamente legata al Santuario della Beata Vergine di Castelmonte, venerata da molti come la “Madonna viva”. Nonostante il clima secolarizzato abbia raggiunto anche queste zone geografiche, posso constatare ogni giorno un attaccamento quasi viscerale con la Madonna del monte da parte dei friulani, un legame così profondo che coinvolge anche credenti più tiepidi e addirittura i non credenti che percepiscono in questo sito una profonda spiritualità, quasi insita nelle pietre di Castelmonte.
Il Santuario è meta di pellegrinaggi sin dal primo cristianesimo. Quale il rapporto con i pellegrini di ieri e di oggi?
Il pellegrino che sale da 1500 anni a Castelmonte è sempre lo stesso uomo di ieri. E’ l’uomo che va in cerca di risposte per la sua esistenza, è l’uomo che sovente grida a Dio per le sue pene e a Lui rivolge le sue suppliche. Nonostante si possa essere allontanato per molto tempo da Dio, sente ancora forte il richiamo della Vergine Maria che da sempre “ha protetto i suoi fedeli con occhio materno”, come recita l’atto di affidamento.
Dal punto di vista dell’affluenza contiamo ogni anno la presenza di circa 200.000 pellegrini. A differenza di un tempo tuttavia è cambiato il modo di vivere il pellegrinaggio. Se da un lato, anche grazie alla riscoperta del turismo lento (quello di chi percorre gli antichi pellegrinaggi d’Italia e d’Europa), è in continuo aumento il numero dei pellegrini che salgono a piedi partendo anche da lontano, dall’altro lato è diminuito il numero dei pellegrinaggi parrocchiali. La scarsità e l’anzianità dei sacerdoti, tradizionali accompagnatori dei pellegrini, ha decisamente indebolito gli annuali pellegrinaggi e solo alcune parrocchie ben organizzate riescono a perpetuare i pellegrinaggi votivi storici, il più importante quello di Gemona del Friuli, iniziato dopo la peste del 1500, quello di Cividale del Friuli e quello diocesano che da oltre 40 anni (1976) si svolge l’8 settembre, Festa delle Natività di Maria, con la presenza di alcune migliaia di fedeli provenienti da tutta la provincia di Udine.
Per le esperienze di spiritualità che si possono vivere qui, cosa significa abitare le altezze?
“Quanto sono amabili le tue dimore, Signore” recita il Salmo 83. Chi sale a Castelmonte e abita questo luogo sente di respirare un’aria diversa, piena di spiritualità, di sacralità capace sempre di rigenerare la propria anima ed elevarla un po’ più a Dio. Chi sale a Castelmonte ha la certezza di ritrovare il tesoro nascosto. Ha la certezza di potersi riconciliare con il Signore ricco di misericordia mediante l’incontro con un sacerdote. Come dice la scritta posta attorno alla bella effigie di Maria all’interno del Santuario, Maria dona la salvezza che regge in mano, Cristo redentore. A lei, infatti sotto la croce sono stati affidati il discepolo amato e ognuno di noi (“Donna ecco il tuo figlio”: Gv 19,26). In lei il pellegrino vede l’immagine viva del cuore materno di Dio che tutti accoglie e protegge. Il fedele che prega ha così la certezza di ritrovare se stesso accanto alla Vergine Madre per poi scendere dal monte santo colmo di grazie e di benedizioni dal Cielo.
Per la foto si ringrazia Ulderica da Pozzo per la concessione gratuita.