Il 10 luglio 2020 la giovanissima Beatrice Ion, astro nascente della nazionale italiana di Basket, è stata aggredita verbalmente.
Nel momento in cui suo padre ha voluto difenderla, anche lui è stato aggredito, ma fisicamente, ed al punto da necessitare il ricovero ospedaliero. Una figlia ed un padre, un’atleta ed un uomo, e, soprattutto, una ragazza in carrozzina ed il suo amorevole genitore. A generare l’impeto dell’aggressione pare sia stata anche la loro origine non nostrana, essendo rumeni e stabilitisi da anni in Italia.
Per qualche giorno la notizia ha fatto il giro dei media: televisione, giornali, social, tutti hanno voluto dimostrare solidarietà alla famiglia Ion, compresi personaggi politici di tutti gli orientamenti. Personalmente, ho cercato di farmi un quadro completo della situazione, perché non è nella mia indole esprimere giudizi avventati.
Ovvio, come allenatore di pallacanestro di normodotati e, soprattutto, essendo il referente tecnico per la pallacanestro della FISDIR (Federazione Paralimpica Sport Paralimpici degli Intellettivo Relazionali), non posso che provare enorme sdegno. Eppure, ciò che mi ha inquietato di più, è stato il pensiero che un evento del genere sia, ormai, tanto frequente da diventare quasi “all’ordine del giorno”. Più mi documentavo, più si faceva forte questa sensazione.
Beatrice è una ventenne giocatrice di Basket in carrozzina per l'”Amicacci Giulianova”, milita in seria A, gioca nella nazionale italiana di basket e si è trasferita dalla Romania in Italia con la sua famiglia 16 anni fa; una serie di caratteristiche che nella mente dell’aggressore si sono profilate come “colpe”: la disabilità e l’origine non italiana. Un altro esempio di pura intolleranza e xenofobia, che si abbatte su due generazioni allo stesso tempo (padre e figlia).
Da qui la mia considerazione, più una domanda a me stesso ma, soprattutto, a chi ha il vero potere per intervenire nel modo più opportuno: “Cosa si pensa di fare per evitare che fatti del genere continuino ad accadere?”, considerando che accadono giornalmente anche se non riportati nelle cronache.
Nel mio piccolo, senza la pretesa di avere la soluzione, pur desiderandola intensamente, agisco da professionista nell’ambito del basket per i diversamente abili nella convinzione che questo sia uno dei tantissimi modi “quotidiani” per creare un mondo sociale migliore, fiero di affermare che tantissime sono le persone, professionisti dello sport e non, convolte nelle attività con i ragazzi diversamente abili.
Oggi non voglio solo esprimere solidarietà umana, sdegno morale e rabbia da atleta, ma intendo anche lanciare un messaggio: agisca chi può realmente intervenire in queste situazioni ad oggi troppo ricorrenti, senza strumentalizzarle, ma con l’obiettivo di prevenirle per costruire un sano contesto sociale dove la disabilità non sia una colpa, il luogo di nascita non sia una colpa!
Questo il desiderio di un allenatore di pallacanestro e di un uomo che ha la fortuna di conoscere la forza dietro la diversa abilità psico-fisica, ma, purtroppo al momento questo desiderio resta solo utopia.
Giuliano Bufacchi, Referente tecnico per la pallacanestro della FISDIR