di Gionatan De Marco, direttore UNTS della CEI
«Il figlio incarnato è l’evento simbolico originante, midollo e modello di una purezza reale, unità tra mistica-visione-ubbidienza, rito-gesto e vita quotidiana che ci parla in modo trasparente di Dio e dell’uomo, della loro corrispondenza libera, travolta e restaurata»[1]. La Bellezza espressa in tutte le sue gradazioni di linguaggio e la Bellezza impressa della creazione e, in modo sublime, caratterizzante della persona imago Dei, trova il suo compimento nell’evento in cui la Bellezza infinita e incontenibile del Noi-Creatore si comprime fino a prendere un corpo di uomo in Gesù Cristo, fine di ogni esperienza di turismo conviviale per incontrarlo, ascoltarlo e lasciarsi stupire dal suo sguardo e dalla sua voce. «L’incarnazione di Dio porta a compimento tutta l’ontologia e l’estetica dell’essere creato che viene assunto in una nuova profondità ed espressione e linguaggio dell’essere e dell’essenza divina. A dare testimonianza è Gesù Cristo che, in quanto uomo, utilizza tutto l’apparato espressivo umano dell’esistenza storica, dalla nascita alla morte, in tutte le età, le condizioni, le situazioni individuali e sociali. Egli è ciò che esprime, cioè Dio, ma egli non è colui che egli esprime, cioè il Padre. Paradosso incomparabile che sostituisce il punto originario dell’estetica cristiana e quindi di ogni estetica»[2]. È tramite la kenosi di Cristo che è tirata fuori dal nascondimento la Bellezza e che trova il suo apice in quel non avere né forma né bellezza[3] del Crocifisso. Anche questo è un paradosso della Bellezza compressa: la bruttezza dello sfigurato diventa simbolo di vera Bellezza. Lo ricorda il teologo Von Balthasar quando afferma che «nella stoltezza della Croce egli trova l’accesso a quella bellezza originaria della nostra esistenza, alla forza archetipa della parola autentica e generatrice, ed infine il nucleo più profondo del mistero di tutta la realtà»[4]. Ma solo uno sguardo semplice può riconoscere la potenza della Croce, che altri considerano stoltezza, e la sapienza del Crocifisso, che per altri è scandalo[5]. La Bellezza compressa nel Crocifisso è la buona notizia del turismo conviviale, che vede in Lui il punto focale, lume di Bellezza differente da quella a cui spesso siamo abituati a pensare, che in modo radicale e differente mostra il nesso inscindibile tra promessa e compimento, che apre vie di umanizzazione dell’umano, se così si può dire, ridando alla persona nuove e attuali possibilità di strade per la beatitudine. Infatti, «la bellezza di Dio nella bellezza di Gesù Cristo appare perciò proprio nel crocefisso, ma come tale, risorto: in questa automanifestazione la bellezza di Dio abbraccia la morte e la vita, la paura e la gioia, ciò che potremo chiamare odioso e ciò che potremo chiamare bello»[6]. Una Bellezza compressa – questa – che non abbaglia, non acceca, ma che pervade ogni cosa che si dirama dal Crocifisso per amore. Perché è l’amore, l’essere per, che nel Crocifisso risorto si manifesta, manifestando fino a che punto il Noi-Creatore ha amato le sue creature, lasciandosi coinvolgere dalla storia cronologica degli uomini e coinvolgendo ancora una volta gli uomini nella sua storia kairologica. Gesù è davvero «l’ultima parola pronunciata da Dio, irraggiungibile da qualsiasi pensiero o prassi. […] Il gesto estremo dell’amore trinitario che si dona supera le immagini di Dio giudaiche, samaritane e pagane, e diventa per esse il télos: videbunt in quem transfixerunt. In futuro non ci sarà nient’altro da vedere da parte di Dio»[7].
E tutto questo per Dio era necessità, perché «Dio è bello, bello in maniera propria a lui e soltanto a lui, bello come la bellezza originaria e irraggiungibile, ma proprio per questo non già soltanto come fatto, non già soltanto come forza, ma piuttosto come fatto e forza che egli impone alla sua maniera, come colui che suscita diletto, crea il desiderio e ricompensa con il godimento […] come Dio che è degno di essere amato»[8]. Ed è definendo il volto conviviale del Noi-Creatore, che si è specchiato nella trasparenza della sua creazione, che dobbiamo cercare il principio architettonico ed ermeneutico di ogni esperienza di turismo conviviale, un turismo in cui comunità ospitale e ospite fanno esperienza di una amore senza misura e alimentano di speranza la vita, originata nell’originale vita del Noi-Creatore, la Trinità che «è la luce che illumina»[9] ogni cosa.
Il Dio rivelato da Gesù Cristo non è un Io solitario, ma una comunione di Tre che sono Uno. Al principio, infatti, non c’è la solitudine dell’Uno, ma la convivialità dei Tre nell’amore: «Le tre Persone divine, pur essendo distinte, non esistono separatamente l’una dall’altra, ma nell’in-essere, nel co-essere e nel pro-essere l’una per l’altra, in un’eterna circolarità di dono-accoglienza-condivisione»[10].
La Bellezza compressa ha raccontato l’essenza di Dio come comunità di vita tra le tre Persone[11] divine fatta nel e di dialogo[12] e che è amore in eterno movimento di uscita da sé, come Amore amato, di accoglienza di sé, come Amore amato; di ritorno a sé e di infinita apertura all’altro, come Spirito. «Gesù ci ha rivelato che Dio è pluralità di persone: Padre, Figlio e Spirito. Esse vivono così profondamente la convivialità delle differenze, esistono cioè così unicamente l’un per l’altra, che formano un solo Dio. Uno per uno fa sempre uno»[13]. La convivialità di Dio e in Dio è un amore che dischiude il primato dell’alterità, in cui l’io non si costituisce come principio assoluto difronte all’altro, ma quale spazio per l’altro perché possa vivere. «Nella vita trinitaria tutto avviene nella radicale gratuità dell’amore che le persone si scambiano»[14], in quella che teologicamente si chiama pericoresi e che esprime la mutua immanenza e vicendevolezza provocata dall’amore di donazione che tende interamente verso l’altro ed in esso trova il proprio riposo e compiacimento[15]. Come afferma Ladaria: «la massima espressione dell’unità tra le persone è stata vista nella reciproca inabitazione o pericoresi delle stesse. […] Non si può tracciare una frontiera tra l’unità dell’essenza divina e l’unità della pericoresi reciproca tra le persone; è l’unità più intima che si possa immaginare, basata non soltanto sull’esse ad, l’essere in relazione verso l’altro oppure insieme all’altro, ma nell’intimità ancora più grande dell’esse in, dell’essere nell’altro, l’amato nell’amante e viceversa. […] L’essere in relazione verso l’altro porta per sua dinamica interna all’essere nell’altro, suprema aspirazione dell’amore che vuole unire il diverso senza annullarlo»[16].
Per la fede cristiana la Santissima Trinità non è una mera questione logica circa l’essenza di Dio, ma costituisce lo specifico e il fondamento della fede stessa. Infatti, la dottrina della Trinità non è solo una dottrina speculativa, ma fondamentalmente è una dottrina pratica dalle conseguenze radicali per la vita cristiana ed ecclesiale, anche per l’esperienza del turismo conviviale. Infatti, la dottrina della Trinità è una sorgente inesauribile per declinazioni storico-pratiche in tutti gli ambiti di vita possibili. «È proprio qui che poggeremo la forza della nostra conversazione: la Trinità non è una specie di teorema celeste buono per le esercitazioni accademiche dei teologi, ma la sorgente da cui devono scaturire l’etica del contadino e il codice deontologico del medico, i doveri dei singoli e gli obblighi delle istituzioni, della Chiesa, della società, le leggi del mercato e le linee ispiratrici dell’economia»[17]. Ecco perché il nostro modello di turismo fa della convivialità il suo principio ermeneutico.
[1] Salmann E., Presenza di spirito. Il cristianesimo come stile di pensiero e di vita, Cittadella Editrice, Assisi (PG) 2011, p. 165
[2] Von Balthasar H. U., Gloria, I, op. cit., p. 20
[3] Cfr. Is 53
[4] Von Balthasar H. U., Gloria, I, op. cit., p. 71
[5] Cfr. 1Cor 1,17-25
[6] Von Balthasar H. U., Gloria, VII, op. cit., p. 28
[7] Von Balthasar H. U., Gloria, VII, op. cit., p. 345
[8] Barth C., KD II/1, p. 732
[9] CCC, 234
[10] Rocchetta C., Abbracciami. Per una terapia della tenerezza. Saggio di antropologia teologica, EDB, Bologna 2013, p. 55; cfr. Agostino, De Trinitate, 8, 10, 14, Città Nuova, Roma 20114, p. ???
[11] Cfr. Ratzinger J., Dogma e predicazione, Queriniana, Brescia 1973, p. 178: «Il concetto di persona, a partire dalla sua origine, esprime l’idea del dialogo e di Dio quale essere dialogico. Esso pensa a Dio come all’essere che vive nella Parola ed esiste come io e tu e noi nella Parola.»
[12] Cfr. Kasper W., Il Dio di Gesù Cristo, Queriniana, Brescia 1984, p. 353: «Le persone divine non soltanto esistono nel dialogo, ma sono esse stesse dialogo.»
[13] Bello A., Opera omnia, vol. III, Luce e Vita, Molfetta (BA) ????, p. 161
[14] Ladaria L. F., Il Dio vivo e vero. Il mistero della Trinità, Piemme, Casale Monferrato (AL) 1999, pp. 353-254
[15] Cfr. Greshake G., Il Dio unitrino, Queriniana, Brescia 20083, p. 206: «l’unica sostanza divina è communio; ed esiste soltanto nello scambio del Padre, del Figlio e dello Spirito. Ciascuna delle divine Persone risulta estatica nei confronti delle altre […], non hanno alcuna auto-nomia l’una contro le altre, bensì soltanto l’una dalle altre, con le altre e in vista delle altre». Cfr. Rossetti C. L., La pienezza di Cristo. Verità, comunione e adorazione. Saggio sulla cattolicità della Chiesa, Lateran University Press, Città del Vaticano 2012, pp. 265-279
[16] Ladaria L. F., La Trinità, mistero di comunione, Paoline, Milano 2004, p. 175
[17] Bello A., Volti rivolti. Essere dono l’uno per l’altro, Ed. Insieme, Terlizzi (BA) 20052, p. 8