di Alessandra Valente
Una lunga e piacevole chiacchierata con Don Agostino Frasson, 58 anni, direttore della Casa don Guanella di Lecco e il presidente della Cooperativa sociale Cascina don Guanella, ma anche un grande appassionato di ciclismo, perché, come dice lui “in bici si prega e si espia, ci si confessa e ci si purifica, si condivide la strada e si cerca la via. E se qualche volta capita di perderla, poi con l’aiuto delle mappe, o degli amici, o eventualmente di Dio o chi per Lui, la si ritrova»”
Casa don Guanella, come è nata e come il lavoro, la bici e l’arte diventano strumenti educativi in questo bellissimo progetto?
È nata qui a Lecco nel 1935, ed è nata per dare risposta al dopoguerra, per dare una casa ai molti bambini rimasti orfani, quindi è nata come realtà di aiuto al territorio e di supporto educativo. Da qui negli anni si è sviluppata cercando di rispondere alle esigenze del tempo, esigenze che sono via via cambiate e che possiamo ricordare: un istituto, un collegio, una scuola, la prima scuola a tempo pieno, cosicché si è trasformata in comunità educativa che ha accolto, nel corso degli anni, anche ragazzi affidati a noi dal tribunale dei minori. In seguito si è fatto avanti il fenomeno dell’immigrazione, quindi ci sono stati affidati minori straneri non accompagnati, poi ci siamo trasformati in casa di recupero per ragazzi che hanno avuto problemi con la giustizia, che hanno avuto un percorso penale, e anche per aiutare i ragazzi a uscire dal carcere minorile. È nata così la collaborazione con il centro di giustizia minorile.
Un progetto che viaggia in completa sinergia con il territorio che vi circonda…
Abbiamo motivo di esistere se siamo in grado di essere un po’ profetici e anticipare di qualche passo quello che lo Stato dovrebbe fare. Dove c’è assenza di uno stato sociale, noi ci proponiamo in aiuto. Questo nostro stile è in linea con la pedagogia di don Guanella e di don Bosco, entrambi molto legati, si cerca di fare il più possibile prevenzione, anche se in questi ultimi anni stiamo diventando, paragonandoci alla realtà ospedaliera, un reparto di terapia intensiva, dove arrivano ragazzi veramente disfatti, con cui trovare elementi su cui far leva per aiutarli è complesso. Allora usiamo dei metodi particolari: l’arte, il lavoro e lo sport, in particolare il ciclismo. Pensiamo che l’arte sia uno strumento educativo eccellente, attraverso cui ci impegniamo a esprimere il bello che c’è intorno a noi, anche grazie a un artista che lavora in mezzo a noi, cerchiamo di far comprendere ai ragazzi che non è tutto da buttar via, anzi proprio dagli scarti si può partire per realizzare sempre qualcosa di bello. Attraverso l’attività di laboratorio artistico, lavoriamo anche pezzi di bicicletta rotta, il legno, le lattine destinate al macero, per farne delle vere e proprie opere d’arte.
Plasmare tutto quello che c’è e non buttare via nulla. Si riallaccia a un concetto bellissimo espresso da Papa Francesco. Attraverso il sacrificio e il passaggio attraverso l’inclusione, si può arrivare a un riscatto sociale?
Sì, è possibile. Alcuni ragazzi mettono in atto questo passaggio grazie alla passione che ci mettono nello sport. Ad esempio un tredicenne proveniente dal Marocco ha familiarizzato con l’andare in bici e si è appassionato a tal punto da arrivare al campionato mondiale juniores, come rappresentativa del Marocco. Adesso sta continuando questa attività semiprofessionistica, nonostante questo periodo di chiusura che ha penalizzato tantissimo tutte le squadre ciclistiche.
Come vi siete “adattati” a questo periodo di tragica chiusura che stiamo vivendo a causa di questa pandemia?
Noi più che adattarci, ci siamo provvidenzialmente ritrovati ad avere un’attività agricola e zootecnica avviata sei anni fa. Questa attività ci permette di operare con l’obiettivo di creare un Agri Bike, un agriturismo per ciclisti, al cui interno c’è una filiera produttiva di svariato genere: si parte dall’allevare le capre, per arrivare a fare il latte, a fare il formaggio, per poi servirlo a tavola nel nostro agriturismo Cascina don Guanella, oppure per creare dei cesti dono in cui mettiamo i nostri prodotti.
Cascina don Guanella: da un progetto condiviso a realtà in completa evoluzione?
Proprio così. All’interno della cascina sta nascendo anche un luppoleto per la produzione della birra agricola fatta con i nostri prodotti. Il nome di tutte le birre artigianali prodotte a Cascina don Guanella è Barabina. Un nome simpatico che deriva da quello dato ai ragazzi di casa don Guanella, i piccoli barabba - i barabitt, e noi abbiamo voluto evidenziare questo come un elemento caratterizzante la nostra comunità. A ottobre, nel mese Guanelliano, organizziamo una corsa che abbiamo chiamato La Barabina Run, una corsa nata proprio per sostenere il progetto Cascina don Guanella e i nostri ragazzi.
Come nasce la sua passione per il ciclismo?
È nata per caso, notavo che mi faceva bene, sia a livello fisico sia a livello mentale, tanto che è diventata una passione condivisa con amici. Il volano del progetto della nostra cascina è stata proprio la ruota, la bicicletta, perché attorno alla bici opera una moltitudine di professionalità: dall’umile operario, all’industriale, al medico, al giudice dei minori, in più, c’è una specie di tacita solidarietà tra ciclisti - sei un ciclista, allora sei una persona che vale - e si è creata veramente tanta solidarietà, unita alla spiritualità. Usiamo la bici come mezzo di conversione di persone che hanno compreso che la bellezza sta nel condividere la fatica del pedalare ed è così che si genera la coesione nel gruppo e la coesione del gruppo con il progetto di Cascina don Guanella.
Si può andare in bici per pregare, per espiare, per confessarsi?
La preghiera è preghiera e poesia, per riprendere le parole dell’arcivescovo Mario Delpini. È un elemento che ti aiuta a rientrare in te stesso. È poesia perché hai l’opportunità di cogliere la bellezza del nostro territorio e, nel nostro territorio attorno al lago di Como e al lago di Lecco, ci sono delle zone davvero splendide, in tutti i sensi. È preghiera, perché attraverso la contemplazione del bello e la condivisione delle esperienze e delle fatiche, pronunciamo il nostro grazie alla vita.
Il coinvolgimento di tanti campioni del mondo del ciclismo, e non solo, nelle vostre attività: sport e bene comune possono andare d’accordo?
Molti campioni di alto livello dimostrano, con la partecipazione al nostro progetto, dando del proprio in termini di tempo, di notorietà, quanto lo sport che loro praticano, non è qualcosa fine a se stesso, di cui bearsi e basta. Restituiscono quello che il ciclismo ha dato loro.
Un pensiero carico di affetto va ad Alex Zanardi, uno dei testimonial più importanti, lo ricordiamo spesso nelle nostre preghiere. Alex è per noi uno spunto, uno stile di vita. Egli è determinazione, è spinta a credere e a continuare a lottare. Avrebbe dovuto essere da noi a inaugurare il nostro Agri Bike il 14 marzo, quando è iniziata questa pandemia, prima di quel terribile incidente del 19 giugno 2020 che ha messo a dura prova la sua tempra e la sua forza di vivere. Un grazie e una preghiera per Alex.
Dal Giro d’Italia alla Granfondo passando per Barabina Run. Quanto sono importanti le manifestazioni sportiva in un’ottica di solidarietà?
Il Giro d’Italia diventa un’occasione, attraverso i giornalisti dello sport che ci conoscono, di dar voce a chi non ha voce, il Giro d’Italia è un amplificatore, nel bene e nel male di tante situazioni. Attraverso Alessandro Di Stefano e Andrea De Luca abbiamo avuto più volte la possibilità di essere annunciati ed evidenziati attraverso le loro interviste. Abbiamo avuto modo di raccontare quanto il ciclismo sia importante per noi, di far capire che il ciclismo è un mezzo non il fine. Il ciclismo è uno strumento di educazione per crescere, per comunicare, per fare solidarietà e per raccontare quanto sia bello stare insieme.