UFFICIO NAZIONALE PER LA PASTORALE DEL TEMPO LIBERO, TURISMO E SPORT
DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Le sfide dello sport: il doping

Il problema del doping non può essere imputato solo al singolo sportivo, per quanto sia da biasimare. E’ un problema più complesso.
26 Febbraio 2020

Rispetto agli anni ottanta, caratterizzati dal doping di Stato dei Paesi ad impronta dittatoriale e dalla controffensiva di pari segno attuata dai Paesi che si consideravano come l’emblema della democrazia, questa frase descrive un po' meglio il fenomeno del doping. La cortina dell’ipocrisia va però analizzata e squarciata in modo più articolato e profondo, affinché lo sport si affranchi dal suo passato ed il fenomeno del doping perda la sua matrice originaria che lo ha reso, apparentemente, ineluttabile o invincibile.

Già all’inizio del secolo scorso, molti atleti facevano uso di vere e proprie sostanze venefiche, come la stricnina e poi, nei decenni seguenti, dei nuovi stimolanti, come le amfetamine, l’efedrina e la caffeina. I paludati responsabili del CIO, delle Federazioni sportive internazionali e nazionali non se ne curavano. Solo dopo la morte in diretta televisiva del campione del mondo di ciclismo Tommy Simpson, questi bravi signori istituirono i controlli antidoping ma limitati ai soli stimolanti. Facendo finta di non sapere che da decenni in molte specialità sportive si abusava degli ormoni anabolizzanti.

Solo nel 1976, i grandi sacerdoti dello sport, in ogni Paese ben ammanicati con il potere politico, hanno avviato i controlli antidoping anche su questi ormoni. La storia si è ripetuta quando sono apparsi nella farmacopea internazionale i farmaci capaci di stimolare la produzione dei globuli rossi. In questo caso il mondo dello sport si è superato poiché, dopo anni di inerzia, ha dato ad un medico noto come dopatore il compito di definire un metodo di rilevamento di tali sostanze dopanti.

In sintesi, per ciascuna tipologia di doping si è lasciato che attecchisse e si sviluppasse. Questo lungo periodo di ipocrita convivenza con il doping – durato nel suo “fulgore” fino ai primi anni duemila ma tuttora vivo in alcuni Paesi e in alcuni sport – ha comportato delle conseguenze difficilmente reversibili: i dirigenti, medici ed allenatori disonesti hanno spazzato via coloro che rifiutavano il doping e non dava garanzia di “riservatezza”.

Ormai dovrebbe essere chiaro per tutti che l’industria farmaceutica ha goduto di questa immensa promozione del farmaco che non è stato più inteso solo come strumento di cura delle malattie ma, sempre di più, come mezzo per essere più sani, più belli, più forti, più giovani…

Ormai bisogna attendere che, all’interno delle Istituzioni sportive, le generazioni corrotte, per vecchiaia, lascino spazio alle nuove, non imbevute di questa mentalità egoistica, sopraffattiva, miope, antiumana.

 Prof. Alessandro Donati, Maestro dello Sport - Roma