La visione cristiana dello sport potrebbe contribuire ad una rifondazione del concetto e di pratica dello sport, che soffrono oggi di un eccesso di successo.
Innanzitutto ribadendo che lo sport, assieme all’amore, al viaggio, all’eduzione formale e al lavoro, rappresenta una via obbligata attraverso la quale si cresce e si diventa grandi. Il valore educativo dello sport è infatti indubbio, anche se lo sport appare molto spesso antisportivo (il doping, la violenza, il professionismo esasperato, la ricerca del primato che rasenta il patologico), ma anche antieducativo o diseducativo, così come l’educazione sembra antisportiva con il suo intellettualismo e con l’esilio del corpo. D’altra parte è evidente la profonda radice educativa dello sport, con la sua disciplina, l’educazione del corpo e del carattere, con i suoi valori, a qualsiasi livello venga praticato.
Il grande vantaggio dello sport è che esso propone un’esperienza, qualcosa che si può fare, che mobilita il corpo, per questo è eloquente. Contribuisce a superare la frattura tra corpo e mente, materia e spirito. Se l’essere umano è un’unità di corpo, anima e spirito, lo sport propone uno spirito incarnato, oggi molto utile perché l’unità tra il cervello che fa e il cervello che pensa è proposta anche dalle neuroscienze e perché l’esperienza integrale della persona nella società digitale e degli schermi è di grande attualità. È quindi necessario educare con lo sport ed educare allo sport. Ripensando a fondo lo sport che deve sempre rimanere attaccato alla sua origine che lo collega al gioco, da una parte, e al rito festivo, dall’altra.
Lo sport è gioco e festa, aperto anche alla dimensione della trascendenza. Se lo sport diventa lavoro, se si quotidianizza, se si professionalizza, degenera. L’origine dello sport è mitica, è legata agli arcaici riti di passaggio. Nello sport l’uomo scopre cose antiche (subconscio, enigma, profondità, mistero della storia umana, mistica, bellezza della creazione estetica) ed eterne. Il suo legame con le forze più arcaiche presenti nell’uomo ne fanno un elemento mai completamente addomesticabile, “educabile” dell’umano, una delle ultime terre selvagge. Le emozioni e il corpo, il lasciarsi andare e il controllarsi, il rischio e il coraggio, il non avere paura e la competizione, il desiderio di migliorarsi e la generosità, la perseveranza e la scoperta del limite. Tutti valori educativi e sportivi.
Come il fairplay, la lealtà, la cavalleria, il comportamento nobile, generoso, antiutilitaristico, non furbastro. La suprema regola dello sport, che non è una regola come le altre. Che ci fa scoprire che ciò che conta è il porsi con la massima energia di fronte alla vita, in una sensazione di salvezza.
Raniero Regni, professore Ordinario di Pedagogia sociale - Università LUMSA di Roma