di Alessandra Valente
Il secondo e ultimo appuntamento con la nostra riflessione sul tempo fa tappa sempre a Lucca, nel Monastero delle Clarisse, dove incontriamo Suor M. Letizia.
Siamo nel cuore delle vacanze e la mente subito va al riposo. Quanto bisogno abbiamo di riposo. Ma che senso ha? Perché ne sentiamo il bisogno?
La prima risposta che generalmente diamo al senso del riposo è la necessità di “staccare”: staccare dalle abitudini quotidiane, staccare dal lavoro che ci affatica, dalla città che restringe il nostro orizzonte… staccare.
Il riposo ha per noi, però, un senso più profondo, scritto nel nostro DNA di creature, di figli del Padre. Il racconto della creazione narrato nella Genesi termina con il settimo giorno (Gen 2, 1-3), il giorno del riposo di Dio, il giorno nel quale Dio VEDE tutto ciò che ha creato e gioisce e ne gode. Dio si è “fermato” per godere della bellezza della creazione e dell’apice della creazione che è l’uomo e la donna e di questo momento ha lasciato traccia nella nostra struttura creaturale, per questo è dentro di noi il bisogno e il senso del riposo. Siamo creati per entrare sempre più in comunione con il Creatore e il fermarsi nel riposo è un canale privilegiato per incontrarlo.
Perché guardare la bellezza di un tramonto sul mare o un panorama dalle altezze dei monti o l’innocenza di un neonato ci riempie di stupore e ci induce al silenzio? Perché ridesta in noi la nostalgia di quel settimo giorno, giorno nel quale Dio e l’uomo gioirono l’uno dell’Altro.
Il nostro guardare alla vita, a noi stessi, alle persone, al creato e ai beni del creato, molto spesso è in funzione di un ritorno in utilità. Il riposo ci educa, invece, a ritornare al nostro essere creaturale, al nostro essere figli che ricevono e il sentimento che ne nasce è la gratitudine perché niente è nostro ma tutto ci è donato.
E’ stata, questa, l’esperienza di vita di Francesco e Chiara d’Assisi che possiamo sintetizzare ricordando le parole di lode al Creatore al termine della loro esistenza. Francesco, provato nel corpo e nello spirito, non si distacca dalla dura realtà ma la guarda con occhi più profondi, gli occhi del povero che in tutto si affida al Padre e tutto da Lui riceve:
“Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedizione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
e nullo homo ène dignu Te mentovare.
Laudato sie, mi’ Signore cum tutte le Tue creature”…….. (Cantico di Frate Sole Fonti Francescane 263).
Chiara sul letto di morte (11 agosto 1253) provata anche lei dalla lunga infermità, lascia questo mondo benedicendo Dio per averla creata:
“Va secura in pace, (…) quello che te creò sempre te ha guardata come la madre lo suo figliolo lo quale ama. Tu, Signore, sii benedetto lo quale me hai creata” (Processo di canonizzazione, Test. 3, 20: Fonti Francescane 2986).
Il riposo cristiano non è mai “anestesia”, evasione: la gioia del riposo in Dio provoca lucidità – la chiarezza di sapere chi siamo, dove andiamo, perché siamo – e inclusione: gli altri non sono esclusi, la gioia e la pace si trasmettono e si condividono.
Gesù nel Vangelo ci invita ad andare a Lui per trovare ristoro (Mt 11,18): riposo è mettere la nostra vita nella vita dell’Altro che è Dio, non preoccuparsi né affannarsi più perché è Lui il Pastore che conduce, noi non manchiamo di nulla (cfr. sl 23)
La Scrittura ci ricorda che "c'è un tempo per ogni cosa". Per cosa c'è tempo dietro la grata? Come potremmo imparare a gustare un po' del vostro "riposo"?
La frase di Qoelet citata ci invita a riflettere anzitutto su un principio che abbiamo perduto: la necessità di dare un ordine al tempo, o meglio distinguere tra priorità, urgenze, bisogni veri o superficiali. Le nostre scelte – di vita, di una persona, di un lavoro – sono spesso frutto di una coscienza non educata sufficientemente e non di rado ci troviamo a vivere realtà che rimangono alla fine estranee al nostro desiderio più profondo. In queste situazioni dare un ordine al tempo risulta ancora più difficile.
Dietro la grata c’è un tempo anzitutto per essere distinguendolo dal fare. E’ la prima distinzione che si opera entrando in monastero: ci sei, vali per quello che sei e non per quello che fai. Lo sguardo che ti circonda, quello di Dio e delle Sorelle, non è in funzione di ciò che produci né tantomeno della tua immagine. Conta solo il tuo esserci. E la tua risposta a questo sguardo non può che essere il dono, l’uscita da sé, come ama chiamarla Papa Francesco.
Quando alla base c’è questa distinzione allora ci può essere un tempo per la preghiera liturgica e un tempo per la preghiera personale. Un tempo per il lavoro e un tempo per il riposo. Un tempo per il silenzio e un tempo per parlare con le sorelle, un tempo per stare in solitudine e un tempo per le relazioni fraterne, il tempo della Quaresima e il tempo dell’orario estivo… Ci sono inoltre le stagioni della vita e di una comunità nel suo insieme. Per vivere tutto questo occorre non opporre mai i due poli ma sintetizzarli nell’armonia: non c’è un di più o un di meno, un aspetto più importante e uno da passare in fretta. Tutto è necessario per vivere in pienezza e il riposo è dato proprio dal tenere insieme dentro di noi tutti “i tempi”.
E’ forse questo ciò che possiamo imparare dalla sapienza della vita monastica: una vita spoglia nelle sue forme, dove si restringe lo spazio ma il tempo si dilata. E questo tempo dilatato chiede a te di esserci tutta intera, “esserci” in quel piccolo servizio che fai: dentro quel piccolo servizio può esserci tutto o niente. Ci può essere tutto – senso, vita, pienezza – se lo compi nell’amore che è dono.
Vorremmo ascoltare da voi delle semplici regole per vivere il tempo in pienezza. Quali potrebbero essere?
Da ciò che abbiamo detto emergono già alcune “regole” per vivere il tempo in pienezza. Una ulteriore sottolineatura può essere l’invito a vivere l’oggi, il momento presente, senza fughe nel passato o proiezioni nel futuro.
OGGI è il tempo che abbiamo a nostra disposizione e l’OGGI è lo spazio per amare e donarsi.
Papa Francesco nell’omelia della scorsa IV Domenica di Pasqua, domenica del Buon Pastore, dice che “la voce del Nemico distoglie dal presente e vuole che ci concentriamo sui timori del futuro o sulle tristezze del passato. Il Nemico non vuole il presente, vuole turbare il nostro cuore e, quando il cuore è turbato anche il corpo è affaticato e stanco. Invece la voce di Dio parla al presente: “Ora puoi fare del bene, ora puoi esercitare la creatività dell’amore, ora puoi rinunciare ai rimpianti e ai rimorsi che tengono prigioniero il tuo cuore”. Ci anima, ci porta avanti, ma parla al presente: ora”.
Consapevoli di questa ORA nella quale il Signore parla e ci invita a rimanere con Lui, riusciremo a vivere “leggeri” senza farci appesantire il cuore.
Il tempo, quindi, non sarà più un tiranno né qualcosa con cui lottare continuamente, ma lo SPAZIO dove ho la possibilità di costruire il futuro di Dio.
Cosa sarà del tempo quando arriverà al termine? Una curiosità che penso possa accomunare più di qualcuno dei nostri lettori
Il libro dell’Apocalisse ci dice che “non vi sarà più notte…” (Ap 22,5). Il tempo, così come lo viviamo adesso non ci sarà e sempre l’Apocalisse ci introduce in questa dimensione attraverso il verbo VEDERE.
Al termine del tempo rimarrà ciò che abbiamo vissuto come risposta d’amore al Creatore: questo rimarrà e… si vedrà!
Con un’immagine che intende solo aiutare la comprensione, possiamo dire che il tempo è un po’ come un grembo nel quale sono stati custoditi tutti gli atti di amore di una vita, più o meno lunga, e al termine della gestazione vengono dati alla luce, entrano nel Paradiso di Dio. La nuova vita sarà poi alimentata dalla Sorgente della Vita… E sarà allora “il tempo” di vedere cieli nuovi e terra nuova e di godere della vita nuova che sgorga senza fine dal Cuore di Dio (cfr. Ap 21,1; 22,1-2) nel giorno senza tramonto.
Solo allora la nostra gioia sarà piena (cfr. Gv 16, 22).