Presa in sé, ordinariamente l’affermazione riportata sotto il titolo, e ripresa dal documento vaticano sullo sport intitolato «Dare il meglio di è» (DMS), potrebbe risultare patrimonio comune ed essere assunta come principio valido per tutti e ovunque. Nella stragrande maggioranza delle situazioni è così. Salvo poi entrare nelle situazioni concrete e scoprire che non poche persone applicano molteplici eccezioni all’affermazione che «tutte le persone sono uguali in dignità». A partire da chi pratica o frequenta lo sport a diverso titolo.
Sarebbe interessante sondare e intervistare i tifosi di club diversi, ancor più se nel corso della gara che vede coinvolte le proprie squadre del cuore, e raccogliere le più svariate sfumature…. di toni e di epiteti. Situazioni che si possono riscontrare anche in una certa categoria di atleti, che affronta la competizione come se entrasse in un campo di battaglia dove incontrare il nemico da sconfiggere: direbbero che l’avversario ha una dignità? La mia stessa dignità?
A questa constatazione, tristemente evidente, se ne aggiungono altre, che, se sostenuti da una lettura superficiale e tendenziosa, potrebbero far pensare che lo sport insinui esclusione e discriminazione, altro che rispetto e uguale dignità! Ad esempio, è evidente che le competizioni portino naturalmente a codificare classifiche, livelli diversi di confronto, differenti potenzialità, dove chiaramente appare chi sono i primi e chi gli ultimi, e da cui si deduce chi ha più possibilità e chi no. Lo sport, organizzato e vivo grazie alle gare sportive, sembra essere motivo di discriminazione.
Ci viene in aiuto il medesimo documento citato (DMS), che al secondo paragrafo di questo capitoletto scrive: «Questa uguaglianza di diritti per ciascun individuo non significa tuttavia omogeneità e conformità. Al contrario, significa rispetto per le differenze e le diversità delle condizioni umane». Con riferimento al calcio, ma applicabile anche alle altre discipline sportive, tutti stiamo alle medesime regole, ce la giochiamo alla pari (e alcuni “ribaltoni” in Champions League hanno ribadito la dura legge del goal e dello sport): si può entrare più o meno favoriti in campo, ma di lì in avanti abbiamo le stesse possibilità.
E tuttavia la dignità della persona, che è fondamentalmente la ragione per cui si deve rispetto a ciascuno e che si fa appello ineludibile ad ogni persona e ogni istituzione, non è attaccabile né scalfibile da quel fattore contingente e così determinante che si chiama “vittoria”. Perdere o vincere non diminuisce né aumenta la dignità. Svela e rende evidenti le capacità, il rendimento della squadra, l’efficacia di alcune tattiche e strategie. Ma non modifica la dignità della persona e il rispetto dovuto a tutti e ciascuno a motivo di essa.
Lo sport, se ben organizzato e concepito, cerca di creare le condizioni perché ci sia l’uguaglianza delle opportunità, senza mai mettere in discussione la dignità della singola persona così come del gruppo. E in questo modo diventa «un’attività che può e deve promuovere l’uguaglianza tra gli essere umani».
Don Claudio Belfiore, Presidente Salesiani per lo Sport