Sono andata a cercare nel dizionario i significati possibili dell’aggettivo “lento”.
Tra gli altri ho trovato: che dura a lungo, che si consuma a poco a poco, di effetto tardo, che sopraggiunge poco alla volta. La lentezza può essere ambivalente: difficile non spazientirsi quando si è in coda ad un veicolo che avanza con il passo della lumaca, ma al contempo siamo grati per una malattia che si dimostra lenta nel produrre esiti nefasti. Bisogna quindi ragionare sulla lentezza come si accoglie la realtà da un caleidoscopio, ovvero da molteplici facce ed effetti.
Relativamente al turismo, perché è a questo che mi è chiesto di associare l’aggettivo in questione, mi sembra che, prima di ogni altra cosa, sia necessario rilevare come qual durare a lungo del dizionario, sia un dato estremamente positivo.
Nel tempo del turismo breve, della fine del turismo di lungo periodo (si viaggia nei fine settimana, per pochi giorni), il turismo lento è quasi una forma di concentrazione temporale, ovvero uno stile che privilegia il sapore di un’esperienza più che l’affollarsi di una molteplicità di sensazioni ed esperienze che hanno più la voracità del mordi e fuggi che la raffinata consapevolezza del gourmet.
Ed è vero che oggi abbiamo necessità di re-imparare ad andare in profondità, ad affondare e a stare, più che a navigare in superficie e a consumare compulsivamente. Così come mi sembra degno di attenzione il fatto che lento sia associato a che si consuma a poco a poco. Visitare un luogo è più che vedere qualcosa, si tratta di assaporarne un’atmosfera, la storia, la cultura che lo ha plasmato, le storie degli uomini e delle donne che lì hanno vissuto, hanno amato, hanno lasciato un segno.
Occorre tempo, predisposizione a lasciarsi afferrare più che ad afferrare, ad assaporare più che a divorare, un’attitudine sapienziale più che manageriale. Di effetto tardo ha a che vedere con il prolungarsi sorprendente dell’esperienza vissuta, cosa possibile se si è stati coinvolti in profondità. In questo modo il tempo che scorre ordinario, nei luoghi ordinari, ha la possibilità di lasciar emergere quello che la brevità puntuale di un’esperienza aveva custodito ma non compiutamente espresso.
La meraviglia nasce dallo scoprire che non tutto si era “visto”, non tutto si era consumato, non tutto conosciuto. Un colore, un’atmosfera, uno scorcio di una strada riporta il cuore là dove è stato, là dove ha assaporato altri scorci, altri sapori, altri profumi, riportandoli alle corde del cuore, ri-cordando, appunto.
E infine, che sopraggiunge poco alla volta: il turismo lento è scelta di umiltà nel senso che è consapevolezza di non poter cogliere l’intero, semmai un attimo come un lampo che chiede di disvelarsi; al massimo si può cogliere il particolare e da questo intraprendere un cammino che conduca sempre più e sempre meglio, nelle profondità di un tutto che è quello che nel qui ed ora è offerto al passo lento che, piaccia o meno, è proprio del camminatore, di chi gode di ciò che lo circonda e su questo sa modulare il passo.
Il turismo lento diventa allora contestazione implicita di uno stile veloce che lascia indietro chi non ce la fa diventando, suo malgrado, uno scarto; di uno stile efficiente che misura l’umano da quanto serve al sistema, di uno stile vorace e mai sazio che finisce col divorare lo stesso divoratore.
di Sr. Roberta Vinerba - Direttore Istituto Superiore Scienze Religiose, Assisi